Coronavirus, dopo lo sciopero intesa tra i sindacati e il governo: stop ai call center “non essenziali”

Intanto Patuanelli ha convocato i gestori degli impianti di carburanti di Faib Confesercenti, Fegica Cisl, Figisc/Anisa Confcommercio

C’è l’intesa dei sindacati con il governo, raggiunta nel corso del confronto conclusivo tra i ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Viene rivisto quindi l’elenco delle attività produttive considerate essenziali e indispensabili, in questa fase di emergenza Coronavirus, per il Paese. Il decreto ministeriale potrebbe arrivare già in giornata.


«Concluso l’incontro, positivi i risultati», scrive sul suo account Twitter è la Cgil nazionale, che commenta così la conclusione del vertice a palazzo Chigi, in queste ore di febbrili trattative tra governo e parti sociali. A quanto si apprende, sarebbero stati modificati una ventina di codici Ateco – i codici che identificano l’attività di un’azienda. Per i call center, dovrebbero restare aperti solo quelli che svolgono «assistenza essenziale».


Nel frattempo il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli ha convocato i gestori degli impianti di carburanti di Faib Confesercenti, Fegica Cisl, Figisc/Anisa Confcommercio, in videoconferenza, oggi pomeriggio alle 16. I gestori avevano annunciato una serrata a causa della mancanza della liquidità necessaria ad acquistare carburanti.

Soddisfazione dei sindacati

È stato fatto «un grande lavoro comune ottenendo un ottimo risultato nella direzione di tutelare la salute di tutti i lavoratori e di tutti i cittadini», dicono Cgil, Cisl e Uil in una nota unitaria, dopo aver «concluso uno stringente confronto con il Governo» che ha portato all’intesa sulle attività produttive indispensabili che restano aperte: «Abbiamo rivisitato l’elenco” ed è «stato tolto tutto ciò che non era essenziale, visto il momento difficile che stiamo vivendo». Rimarcano inoltre che «dovrà essere rigorosamente adottato il Protocollo sulla sicurezza».

«L’accordo tra Governo e sindacati sulle chiusure delle attività non essenziali è un ulteriore passo in avanti, così come abbiamo auspicato», dice in una nota il responsabile lavoro della segreteria Pd Marco Miccoli. «Per consentire ai lavoratori ancora maggiori certezze sulla sicurezza e sulla prevenzione del contagio dal virus. Ora si vada avanti con la gestione permanente e con un monitoraggio costante, anche a livello locale. La sicurezza dei lavoratori viene prima di ogni cosa. Solo salvaguardando la salute dei lavoratori, garantendo la tutela delle nostre imprese, l’Italia ce la farà».

«Molte delle nostre richieste sono state accolte – aveva detto in mattinata a SkyTg24 il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo – ora aspettiamo solo l’immediata promulgazione degli atti amministrativi che avverrà già in giornata. L’elenco presentato pochi giorni fa dal Governo – ha aggiunto – era troppo esteso: secondo noi, molte di quelle attività andavano sospese per porre un argine al diffondersi del contagio da Covid19. Non ci sembrava che, in questa fase, alcune produzioni fossero così necessarie».

Il punto è sventare il disastro nel disastro, con l’esplosione degli scioperi finora confermata a cominciare dai sindacati dei metalmeccanici di Lazio e Lombardia a partire da oggi. A partire dai primi turni dell’alba di oggi sono già partite le prime agitazioni nelle fabbriche, altre seguiranno secondo i sindacati, in assenza di un accordo al tavolo che si riunirà alle 12 a palazzo Chigi sull’ultimo decreto che dispone la chiusura delle attività non necessarie per contenere i contagi.

La corsa contro il tempo riguarda tutti i settori, dai benzinai ai bancari. Con i lavoratori sul piede di guerra, in forte tensione anche con le proprie rappresentanze sindacali. Non è bastato il Protocollo di sicurezza per i lavoratori approvato lo scorso 14 marzo, il governo fino all’ultimo ha promesso nuovi «aggiustamenti», perché il Paese «non può permettersi uno sciopero generale» in questo momento, dice il premier Giuseppe Conte.

Il nodo resta l’elenco delle attività che proprio da oggi devono restare aperte, perché considerate indispensabili. Una lista fin troppo restrittiva per gli industriali, con il capo di Confindustria Vincenzo Boccia che ancora ieri parlava di imminente scenario da «economia di guerra» per la chiusura di almeno il 70% delle aziende italiane e una stima spaventosa di 100 miliardi di euro persi per ogni mese che verrà. Quella lista però è fin troppo ampia per i sindacati, che si ritrovano nell’inedita posizione di chiedere la chiusura delle fabbriche: «Faccio la sindacalista da 40 anni e non ho mai chiesto di chiudere una fabbrica – ha detto la leader della Cisl, Annamaria Furlan – Anzi, mi sono sempre battuta per far restare le fabbriche aperte. Ma qua c’è di mezzo la vita delle persone».

Lo sciopero

«Il nostro è un giudizio negativo: a Milano ci sono 14mila aziende che vogliono lavorare. Come si fa ad assicurare la sicurezza in questa situazione», dice invece Walter Montagnoli dalla Cub nazionale. «Lo sciopero di oggi ha avuto un certo successo, ma il punto è che non abbiano della gente allo sbaraglio. Parliamo di lavoratori per cui perdere un giorno di lavoro è economicamente significativo. Abbiamo gente che cerca di tutelare la propria salute». A Bergamo, attacca il sindacalista, questo è successo: «Il rifiuto da parte dell’autorità di chiudere la Val Seriana. Ancora venerdì avevamo le squadre di cottimisti che stanno lavorano al rifacimento dell’aeroporto di Linate a lavorare senza nessuna protezione. E i morti di Bergamo sono davanti agli occhi di tutti». Certo, «non si può chiudere dall’oggi al domani e mandare l’esercito: questo lo sappiamo. Vediamo la lista ed eventualmente continueremo a fare le iniziative di sciopero con i lavoratori».

«Nella nostra regione abbiamo notizie di una buona riuscita dello sciopero nel metalmeccanico, nell’aerospaziale, nel chimico e nel commercio, nonché nelle attività di pulizia di sostegno e di logistica», dice a Open Stefano Capello della Cub Piemonte. «Quello che è successo, con i sindacati confederali, è che si sono visti una serie di accordi negativi sul piano del reddito e della sicurezza: e ne parlo da Torino, città che ha visto una cosa come la Thyssen. Una fiducia assoluta su quello che accadrà non c’è», dice Capello. «In assenza di sicurezze la risposta è in scioperi spontanei e sempre più persone in malattia: sempre di più i lavoratori cercheranno di proteggersi a loro modo. E questo diventa un problema. Nel settore del commercio, in questi giorni, il Piemonte la media dei lavoratori in malattia è del 40%».

«Chiediamo che non vengano mantenute attive nel sistema produttivo italiano, in questo momento, tutta una serie di aziende che non c’entrano nulla con lo sforzo sanitario: gli armamenti e l’aerospaziale. Sevono scelte chiare e precise», dice il sindacalista. «O facciamo come diceva Johnson all’inizio – perché non si può fermare la macchina produttiva e restare aperti ti dà un vantaggio competitivo sugli altri – o decidiamo che le persone hanno un valore».

Capello dalla Cub segnala anche il tema delle trasferte dei lavoratori, cui per esempio in Piemonte le aziende starebbero ricorrendo per coprire i punti vendita che non riescono a coprire. «Con l’ovvio problema di allargare gli spostamenti e il contagio. Abbiamo appena saputo che nel punto vendita Esselunga di Valenza c’è stato un caso di una lavoratrice positiva. In quel negozio sono state mandate delle trasferte: speriamo che non sia successo nulla, perché altrimenti da Valenza potrebbero essere state colpite con lo spostamento Alessandria e Tortona».

Photo by Petr Macháček on Unsplash

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