Il Coronavirus avanza in Africa dove «si teme l’ecatombe»

Il continente, si potrebbe dire, ha le spalle larghe in fatto di epidemie: in passato ha già affrontato situazioni sanitarie drammatiche. Ma stavolta è diverso

L’Africa si prepara all’ondata Coronavirus. A lanciare l’allarme l’Oms che, insieme alle Ong che operano sul territorio, ha messo in guardia: il continente non è affatto pronto a sostenere un’emergenza del genere. La popolazione africana infatti non ha strumenti di risposta adatti a far fronte a un’emergenza come quella del Covid-19. Al momento le unità di terapia intensiva in Kenya sono 150, segue il Senegal con 50 unità, 45 in Zambia, 38 in Tanzania, 34 in Malawi. In Etiopia se ne conterebbero una quarantina.


«I sistemi sanitari della maggior parte dei Paesi africani sono fragili e le strutture non sono adeguatamente attrezzate per far fronte a una pandemia di questa portata – spiega al Corriere della Sera Guglielmo Micucci, direttore di Amref Health Africa in Italia – , inoltre le infezioni respiratorie sono la causa principale di morte nel continente, malattie che hanno gli stessi sintomi del Covid-19, quindi non è facile distinguere i casi di decessi per polmonite dai casi di morti legate al Coronavirus».


Alle normali problematiche del mondo occidentale – lo stato della sanità, i test sui malati, le misure restrittive, la disponibilità di protezioni e materiale sanitario – in Africa si aggiungono altri anelli della catena, come la difficoltà di accedere all’acqua, l’igiene e i servizi igienico-sanitari. Prima viene la scarsità d’acqua e dunque: come lavarsi le mani? E il sapone, dove reperirlo? Poi le strutture ospedaliere che non hanno capacità sufficiente per ospitare i positivi alla malattia. Altro tasto dolente, la denutrizione, che espone maggiormente le persone al Covid.

I Paesi più colpiti sono il Sudafrica, il Marocco, l’Algeria, il Senegal e il Burkina Faso: Paesi in cui il numero dei decessi è ancora contenuto, ma allo stesso tempo sembra complicato stabilire se le cause delle morti siano direttamente legate alla contrazione del virus. «Temo l’ecatombe perché non abbiamo i mezzi per combatterlo e perché gli africani sono costretti a uscire di casa per procurarsi il cibo», racconta a Repubblica il ginecologo Denis Mukwege, premio Nobel per la Pace 2018, che precisa che a farne le spese saranno soprattutto le donne: «Nei pochi ospedali attrezzati ci andranno da sole e nessuno si occuperà di loro».

Scuole chiuse, sospese funzioni e incontri religiosi, tutti i mercati chiusi: sono queste le misure adottate dai Paesi africani per cercare di contenere l’urto provocato dalla pandemia. A preoccupare è l’economia. Le persone si svegliano ogni mattina con l’unico obiettivo di guadagnare per se stessi e la propria famiglia il pasto per la giornata. Garantirsi la sopravvivenza sarà sempre più difficile con le misure di contenimento.

Il continente, si potrebbe dire, ha le spalle larghe in fatto di epidemie: in passato ha già affrontato situazioni sanitarie drammatiche. Il punto è che, stavolta, si tratta di una pandemia troppo estesa, difficile da arginare, e gli sforzi profusi potrebbero non essere sufficienti, perché le forze non verrebbero indirizzate in un’area circoscritta. Si avrebbe così una dispersione delle energie, e dunque dell’efficacia degli interventi sul campo. Negli ultimi giorni, nelle statistiche dell’Oms sono entrate la Libia e la Siria: entrambe risentono dei conflitti armati di cui sono state protagoniste e ora dovranno fare i conti anche con la pandemia.

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