Le tappe per evitare il lockdown nazionale, a rischio chiusura le grandi città, poi le regioni. Le ipotesi sul tavolo del governo

di Angela Gennaro

Si ricomincia con le zone rosse, a partire dalle aree metropolitane più colpite come Milano e Torino. Ma l’ipotesi di una serrata nazionale, light o meno, avanza sempre più: le decisioni potrebbero arrivare all’inizio della prossima settimana

Superata – prevedibilmente – la soglia di 30 mila nuovi contagi da Coronavirus in un solo giorno, nuovi record vengono battuti giorno dopo giorno, mentre la politica sembra annaspare. Il virus galoppa veloce, troppo veloce: e chi decide non solo non riesce a stare al passo, ma neppure a rincorrerlo. Le regole dell’ultimo dpcm – in ogni caso percepite dai più come blande e confuse, e criticate per i loro effetti sull’economia – non si vedono e d’altro canto hanno bisogno di almeno 10-15 giorni per produrre (ove mai) un qualche effetto sulla spaventosa curva dei contagi. Lo scenario 4 – quello più critico, quello da cui non si torna indietro, quello di cui ha parlato il numero 1 dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, con il collasso delle strutture sanitarie – è dietro l’angolo per tutta Italia. Ed è già quasi realtà in molte regioni: Lombardia, Campania, Lazio, Liguria e Valle d’Aosta.


Secondo le ricostruzioni comparse sui principali quotidiani di oggi, il premier Giuseppe Conte sarebbe di fronte a un bivio: non avrebbe voluto mettere mano a un nuovo Dpcm prima del 9 novembre, per evitare di mettere in fila provvedimenti in raffica a troppo stretto giro. Ma ora quella data, con i numeri che galoppano, sembra terribilmente lontana. Andrà presumibilmente anticipata. Ma quando? Per una serrata nazionale, light o meno, probabilmente a dopo il weekend.


Per la precisione a dopo mercoledì 4 novembre, data in cui il presidente del Consiglio, secondo quanto ricorda il Corriere della Sera, andrà in Parlamento a fare il punto sulla situazione dell’emergenza sanitaria e le sue comunicazioni verranno messe ai voti. In questo senso spingono dal Pd. Un qualche provvedimento prima di quella data è da escludersi per correttezza istituzionale verso il Parlamento e alla luce delle tante, continuative critiche che vedono l’esecutivo – almeno fino a questo momento andare a senso unico e senza confronto istituzionale nella gestione della pandemia.

Chi chiude, e quando

Chiudere, in ogni caso, con questi numeri, sembra inevitabile. Ci sono alcune prima pagine di quotidiani nazionali che ricordano che quello è un finale certo, non probabile. E che nel procrastinare, si sta solo perdendo tempo nel rimandare l’inevitabile. Certo, fino a poco tempo fa il mantra dell’esecutivo era “mai più un nuovo lockdown“. Ora è lo stesso governo add ammettere questa possibilità anche a microfoni accesi. Lo fa il ministro per gli Affari europei Enzo Amendola: «Se necessario ci assumeremo l’onere di dichiarare il lockdown», dice. Allo studio anche il blocco dei movimenti tra le Regioni, anche se l’esecutivo al momento spera che la decisione possa essere presa dai governatori, d’intesa con il ministero della Salute.

In attesa di mercoledì, le ricostruzioni parlano, per il weekend, di un’altra strada che verrà intrapresa: quella delle serrate locali. Possibilmente, questo vorrebbe il governo, avanzata dalle Regioni come previsto dall’ultimo dpcm, d’intesa con il ministro della Salute Roberto Speranza. Il modello, per intendersi, è quello delle ordinanze firmate da Campania e Puglia, appunto con la doppia firma del titolare della Salite.

Sotto osservazione sono Lombardia e Piemonte, loro malgrado candidate perfette per lockdown circoscritti con le logiche previste proprio dall’ultimo dpcm. E la strategia potrebbe essere, per una prima risposta attesa appunto per il fine settimana (a non “deludere” la battuta del governatore del Veneto Zaia che su eventuali nuove misure di emergenza per il Covid solo ieri chiosava: «Mi sembra di capire che qualche novità ci sarà, nel weekend c’è sempre qualche sorpresa») quella di partire con serrate nelle città metropolitane. Lì dove i casi aumentano in maniera esponenziale: Milano e Napoli, Bologna e Torino. Roma non è in cima alla lista al momento ma potrebbe finirci presto, data la velocità con cui si sta deteriorando la situazione.

A Milano l’indice di contagio si attesta sopra al 2, con quasi 4 mila contagi nel solo milanese registrati ieri, e 1.607 in città (una città di neanche un milione e mezzo di abitanti). I pronto soccorso cominciano a essere affollati, mentre secondo il report dell’Iss il 16% dei posti in rianimazione è al momento occupato, nonché il 19% dei reparti Covid. Nel torinese, più che la città metropolitana, sarebbero a rischio i comuni dell’hinterland. Genova, ricostruisce la Repubblica, vede i contagi triplicati a ottobre ed è di fatto già in mini-lockdown, con gli ospedali sulla via del collasso.

A Napoli la situazione peggiora sempre più velocemente: la città ha richiamato i medici in pensione, mentre gli ospedali vengono convertiti in Covid center. Raddoppiano in una settimana i nuovi casi di contagio anche a Roma, dove si cercano nuovi posti letto e si registrano casi di ambulanze con positivi a bordo ferme nell’attesa di trovare loro una collocazione. In generale, il governo resta preoccupato per la tenuta della sanità al sud, anche in regioni dove la situazione si mantiene ancora sostenibile come in Calabria.

La polemica sulla scuola

L’altro nodo sensibile è certamente quello sulla scuola. Anche se, per dirla come una fonte M5s citata dal Corriere della Sera, a difenderne le aperture a tutti i costi sembra essere rimasta la sola ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. Vuole seguire il modello di Francia e Germania, dove se anche chiude tutto, la scuola resta aperta. Ma la strada sembra trovare poco consenso nel resto della maggioranza. Azzolina critica duramente fin dalla prima ora i governatori Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, che hanno deciso di chiudere gli istituti fino a fine novembre e passare alla didattica a distanza.

Ma la decisione di Campania e Puglia viene commentata in maniera neutrale da altre fonti di governo, ricordando che farlo era assolutamente nelle facoltà delle Regioni. La scuola «non è mica un altro pianeta», avrebbe detto il ministro della Cultura Dario Franceschini. Tra i sostenitori di misure rigorose sulla didattica, c’è anche il ministro della Salute Roberto Speranza.

In copertina ANSA / Alessandro Di Marco | Il centro di Torino, 30 ottobre 2020.

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