Maradona. Abbiamo continuato a dirgli per anni «sei un dio», e ci siamo scordati di dirgli la cosa più importante: «Sei un uomo»

di Giampiero Falasca

L’eccesso di amore per la genialità calcistica di Diego ha rimosso le tante ombre di una vita di eccessi

Gli amanti del calcio si possono dividere in due categorie: i più  anziani che hanno potuto assistere dal vivo alle gesta di Diego Armando Maradona, e i più giovani che non hanno avuto questo privilegio. Chi ha visto giocare Maradona dal vivo ha il dovere di raccontare ai giovani una verità inconfutabile: Diego è stato il più grande calciatore di tutti i tempi, una sorta di divinità scesa in terra per stravolgere per sempre le leggi della fisica applicate al calcio. La grande bellezza del Diego calciatore è rimasta nel cuore di tutti quelli che lo hanno visto giocare, dal vivo oppure nei servizi della Domenica Sportiva o nelle dirette dei Campionati del Mondo. Momenti come la punizione incredibile a Torino, il goal da centrocampo contro la Lazio, la rabona in corsa, lo slalom magico contro l’Inghilterra, persino la mano de Dios sono manifestazioni di una capacità quasi soprannaturale di nobilitare il gioco del calcio.


Questa grande bellezza ha generato, tuttavia, un eccesso di indulgenza che, per essendo umanamente comprensibile (è  difficile essere troppo severi con i geni), non ha consentito di raccontare fino in fondo il fenomeno Diego. Un fenomeno che ha avuto due facce molto diverse tra loro: il genio generoso e strabiliante che illuminava i campi di calcio, e l’uomo pieno di vizi, problemi e fragilità, un essere umano che non ha saputo portare il peso di una genialità straripante fuori dal rettangolo verde. Le frequentazioni discutibili con ambienti pericolosi, i continui problemi di alcool, gli abusi di stupefacenti (vizio che ha interrotto prematuramente la sua carriera), la distruzione dei legami familiari, una ingloriosa carriera da allenatore, i troppi video che lo riprendevano in situazioni  indecorose e patetiche: tutte queste tristi e amare vicende della vita pubblica e privata di Maradona sono sempre stare attenuate, minimizzate e in qualche modo rimosse dal mondo dello sport, dagli appassionati di calcio e dal sistema dei media, nel vano tentativo di non sporcare il ricordo del grande campione che era stato.  


Maradona era invitato in televisione, intervistato dai giornali, osannato dai tifosi, utilizzato dalla politica e dalle istituzioni sportive come se fosse anche fuori dal campo quel grande leader che era stato quando giocava. Le sue enormi, continue e ripetute disavventure personali non contavano: nella narrazione ufficiale Maradona era sempre il numero uno, qualunque cosa facesse. Questo eccesso di tutela e di amore ha prodotto un effetto sbagliato: Diego ha vissuto dentro una bolla di tolleranza planetaria all’interno della quale i suoi tanti vizi sono stati tollerati, giustificati e normalizzati, senza che nessuno fosse in grado di porre un argine a un processo di autodistruzione tanto rapido quanto evidente.  

Oggi che piangiamo la sua prematura scomparsa, dobbiamo avere il coraggio di ammettere che questo atteggiamento ha prodotto un grande errore: chi gli stava vicino, chi lo utilizzava e chi lo osannava, avrebbe dovuto tentare di fermare questo processo autodistruttivo, mettendo l’uomo Diego di fronte ai troppi passi falsi che stava compiendo, invece di pretendere di rendere eterna la favola del genio che era stato. Tra i pochi commenti che hanno centrato questo aspetto, ci piace citare quello di un altro grande campione del passato, il suo connazionale Jorge Valdano:  «Povero, vecchio Diego. Abbiamo continuato a dirgli per tanti anni «sei un dio», «sei una stella», e ci siamo scordati di dirgli la cosa più importante: «Sei un uomo». 

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