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Crisi di governo, Conte sfida Renzi e affronta il voto di fiducia lunedì alla Camera

14 Gennaio 2021 - 19:34 AlzilD
Intanto le opposizioni chiedono le immediate dimissioni del premier e si appellano al Capo dello Stato. Quali orizzonti aprirà questa crisi? Ecco i possibili scenari

Il premier va alla conta dei voti: lunedì alla Camera e martedì al Senato – alle 9.30, dopo la decisione della capigruppo – ci sarà la votazione «a carattere fiduciario» sulle dichiarazioni di Conte. Tradotto, se Pd e 5 stelle riusciranno a trovare i cosiddetti «responsabili», sarà una fiducia sull’esecutivo. A Renzi restano 72 ore di tempo per rientrare nella maggioranza oppure, non votando la fiducia, compiere il passaggio all’opposizione.

Crimi: «Archiviamo Renzi»

«Tracciamo una linea rispetto a Renzi. Punto e a capo, archiviamo Renzi e pensiamo a presente e futuro». Così il capo politico del M5S Vito Crimi durante l’assemblea dei parlamentari che ha prefigurato due possibili scenari. Il primo, quando la crisi verrà formalizzata «vedremo se ci sono parlamentari che, di fronte alla follia di questa situazione, comprenderanno che il Paese ha bisogno di una guida e di responsabilità». Il secondo, se il governo non dovesse ricevere la fiducia «la strada maestra è quella del voto, altre soluzioni sono impensabili e impraticabili, compreso un governo tecnico».

Gasparri (FI): «Conte si salverà»

Futuro salvo, ma «così si campa male». Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri è sicuro: al voto martedì al Senato, Conte la spunterà. Di poco, ma ce la farà. «Lui ha 150-160 voti: si devono sommare 35 del Pd, 92 del M5s, 8 del gruppo delle Autonomie, del gruppo Misto voteranno 22. Se si aggiunge Nencini si arriva a 158, ma penso che un altro paio di Italia Viva si dissoceranno, quindi Conte può avere circa 160 voti. I votanti non sono 321 perché Napolitano generalmente non vota, Piano e Rubbia non si vedono da mesi, un altro paio di assenti per la legge dei grandi numeri ci sono sempre, quindi penso voteranno 315-316». La maggioranza è data da 159 voti, quindi Conte può avere 160 voti, «si salverà», ha detto il senatore a Radio1 Rai.

Iv, fiducia al premier? «Ci riuniamo e decidiamo»

Davide Faraone, capogruppo Iv al Senato, sul voto di fiducia fa intendere che ancora nulla è deciso: «Abbiamo appreso ora che la modalità sarà quella della fiducia per cui ci riuniremo e stabiliremo come comportarci», dice ai giornalisti dopo le comunicazioni di Conte. «Se la situazione è quella che è, è chiaro che abbiamo già dichiarato ieri in conferenza stampa. Naturalmente abbiamo sempre detto che l’ideale per questa legislatura – diamo per scontato che proseguirà – è avere un governo forte, autorevole che garantisca questo periodo di difficoltà».

Meloni: «Questo è il fallimento di Conte»

Per la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, Giuseppe Conte non è più in grado di guidare il Paese. «Ha già fallito», dice, e si augura che non riesca a raccimolare voti per la fiducia. «Non per il bene di FdI o del centrodestra, ma per il bene dell’Italia. Conte ha già fallito con il primo governo, ha fallito con il secondo governo e dal mio punto di vista se avesse avuto un minimo di dignità si sarebbe già dimesso ieri», sottolinea la leader a Porta a Porta, su Rai1. «Invece vuole evidentemente tentare una ulteriore esperienza».

Di Maio: «Conte unica via»

In serata il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si schiera in difesa del premier. Per lui Conte rimane una figura cruciale «di questa maggioranza, noi l’abbiamo proposto due volte e continueremo a sostenerlo. In questo momento non vedo altre opzioni percorribili», ha detto nel corso di un’intervista al Tg3, aggiungendo che «se la situazione invece scivola verso il voto si mette a rischio la fascia più debole della popolazione», perché non si avrà modo di erogare i fondi per la ripresa. Inevitabile l’affondo nei confronti di Matteo Renzi. «Noi siamo stati molto chiari, chi stacca la spina, chi mette in difficoltà il governo non è più un interlocutore», dice Di Maio parlando dell’ipotesi di ricucire i rapporti con il leader di Italia Via, «e questa situazione di instabilità sta danneggiando l’Italia anche davanti alla comunità internazionale».

Incontro Quirinale-Chigi

Nel pomeriggio, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è salito al Colle per interloquire con il presidente della Repubblica. Sergio Mattarella ha preso atto della volontà di Conte di presentarsi in Parlamento per fornire «un chiarimento politico mediante comunicazioni da rendere dinanzi alle Camere». Durante l’incontro al Quirinale, il presidente della Repubblica ha firmato il decreto propostogli da Conte in cui vengono accettate le dimissioni di Teresa Bellanova, Elena Bonetti e Ivan Scalfarotto. Conte ha assunto così l’interim del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Dal comunicato pubblicato dalla presidenza della Repubblica, tuttavia, non si comprende quando Conte riferirà alle Camere sulla crisi di governo. Dopo l’incontro con Mattarella, verso le 17, il presidente del Consiglio è rientrato a Palazzo Chigi. Riguardo alle comunicazioni alle Camere, sta circolando negli ambienti parlamentari l’ipotesi che Conte si presenti lunedì pomeriggio alla Camera e martedì mattina al Senato. In quella occasione, si apprende da fonti di agenzia, si terrà una votazione «a carattere fiduciario». Quindi, i parlamentari risponderanno a una chiama palese e fatta per appello nominale. Si prevede che per il voto di fiducia saranno necessarie tra le sei e le sette ore, includendo le procedure di sanificazione dell’Aula. «La fiducia sarà sulle risoluzioni che si fanno dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio», hanno tenuto a specificare fonti vicine al presidente della Camera Roberto Fico.

Partita la caccia ai responsabili

Intanto, caccia aperta ai responsabili per uscire dall’impasse della crisi di governo, formalmente aperta dal leader di Italia Viva Matteo Renzi, con il ritiro delle ministre Elena Bonetti e Teresa Bellanova e del sottosegretario Ivan Scalfarotto. Un “disimpegno” non ancora formalizzato nella sostanza con dimissioni formali alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, che però ha innescato una levata di scudi attorno alla figura del premier Giuseppe Conte, sia da parte del Movimento 5 Stelle, sia del Partito Democratico, e che ha innescato la richiesta a gran voce da parte delle opposizioni di dimissioni del premier e la chiamata a elezioni anticipate. Ma le notizie che filtrano dal fronte della maggioranza sono in netto contrasto tra loro. Se da un lato, c’è chi ha espresso «ottimismo» nell’individuazione dei responsabili utili a uscire dall’impasse, il Partito Democratico lancia l’allarme: «I responsabili non ci sono, la maggioranza è a rischio e quindi è reale il rischio di voto anticipato a giugno». Secondo fonti del Pd, infatti, non è possibile dar adito alle «ipotesi sui responsabili circolate nelle ultime ore, giacché questi non si sono ancora palesati». Se dal partito guidato da Matteo Renzi, dopo lo strappo di mercoledì sera, attraverso le dichiarazioni dell’ex ministra Elena Bonetti, fanno sapere che Italia Viva «è ancora disposta a sedersi a un tavolo per rimanere in maggioranza», a cui si uniscono quelle del presidente di Iv, Ettore Rosato che ha sottolineato che se ci saranno risposte agli appelli fatti da Italia Viva, non sussiste nessuna preclusione a Conte, l’esecutivo non ne vuole proprio sapere di riaccogliere i renziani nella maggioranza di Governo.

L’ira di Conte e la fine di qualsiasi rapporto e mediazione con Renzi

L’ira di Giuseppe Conte sarebbe emersa in tutta la sua forza ieri notte, durante il consiglio dei ministri, quando il premier ha detto chiaro e tondo di non aver più intenzione né di trattare, né di mediare, né di sedersi a un tavolo con Matteo Renzi: né in privato, né per vie traverse. «Italia Viva si è assunta la grave responsabilità di aprire la crisi in piena pandemia, arrecando un grave danno al Paese», avrebbe detto Conte in sede consiliare. La rottura, insomma, non è sanabile in alcun modo. E poi c’è l’appello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha richiesto di «uscire velocemente da questa fase di incertezza». Dal canto suo, il Capo dello Stato non sarebbe incline ad accettare rimpasti posticci ed estemporanei per tenere in piedi l’esecutivo, ma avrebbe comunicato a Conte, durante il colloquio avvenuto ieri pomeriggio e prima dello strappo di Renzi, l’essenzialità di trovare una maggioranza solida in Parlamento. I tentativi in extremis di mediazione di alcuni esponenti del Pd con Renzi sono caduti nel vuoto, com’è ormai assodato. 

Quali scenari si aprono

Il presidente del Consiglio si è riservato una parentesi di tempo (di circa una settimana) per riuscire a richiudere nuovamente la quadra intorno all’esecutivo, per poi presentarsi in Parlamento e chiedere la verifica di Governo. Se il parlamento dovesse bocciare le possibili soluzioni presentate da Conte, scatterebbero le dimissioni del premier e tornerebbe in scena il Quirinale. Il questo caso, infatti, il presidente Mattarella, potrebbe “congelare” le dimissioni del premier, dando modo al presidente del Consiglio di verificare se è possibile arrivare a una nuova maggioranza di Governo. In caso di esito positivo, grazie al contributo dei “responsabili”, nascerebbe il cosiddetto governo “Conte ter”, supportato da M5s, Pd, LeU e le forze politiche che si renderanno “responsabili”. In caso di esito negativo il presidente della Repubblica dovrebbe procedere al giro di consultazioni con tutte le forze politiche attualmente presenti in Parlamento, nel tentativo di riuscire a trovare un eventuale accordo politico. In caso di mancato accordo si andrebbe a elezioni anticipate; in caso contrario si andrebbe incontro a tre ulteriori possibili scenari. Nel primo caso l’attuale maggioranza di Governo potrebbe ottenere la riconferma, trovare un accordo e restare alla guida del Paese sempre sotto la presidenza di Giuseppe Conte. Anche nel secondo scenario la maggioranza potrebbe restare la stessa, ma a guidarla non ci sarebbe più l’”avvocato del popolo”, ma con un nuovo (o una nuova) presidente del Consiglio. Il terzo orizzonte potrebbe essere quello di creazione di un nuovo governo di unità nazionale o tecnico, guidato da una figura non politica ma di alto profilo. 

Lo stato attuale della crisi

Attualmente la crisi è più formale che giuridica, tant’è che il premier Conte non è ancora salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni. E, come accaduto anche in passato, ha deciso di percorrere la cosiddetta strada del “wait and see”, ossia quella di attendere e vedere se iniziano a palesarsi dei possibili responsabili (o “costruttori”, come preferisce chiamarli Conte) prima di presentarsi in Parlamento e di valutare l’evolversi della situazione prima di procedere. Ma è proprio dal Parlamento che arrivano le richieste al premier di presentarsi in Aula. Una richiesta presentata anzitutto dall’opposizione di centrodestra, e accolta anche dal presidente della Camera Roberto Fico che, dopo aver sospeso i lavori dell’Aula, ha sottolineato come le sedi istituzionali «non possono rimanere indifferenti rispetto a quanto sta succedendo». Tutti i gruppi politici di maggioranza e opposizione sono comunque favorevoli alla parlamentarizzazione della crisi.

Il M5s (e Di Battista) si ricompatta intorno a Conte e mette alla porta i renziani

Per oggi sono invece previste riunioni sia dei capigruppo di Camera e Senato, sia dei vari gruppi parlamentari e delle varie segreterie di partito o movimento. Sul fronte della maggioranza il Movimento 5 Stelle sembra essersi completamente ricompattato intorno alla figura di Conte, con il supporto esterno del fondatore e garante del M5s Beppe Grillo e soprattutto quello di Alessandro Di Battista che, malgrado le tensioni interne al Movimento, ha accusato i renziani di essere un «mediocre manipolo di politicanti assetati di potere e poltrone» e chiesto con forza ai suoi colleghi del M5s di «non sedersi mai più a un tavolo, scambiare una parola, o prendere un caffè con questi meschini politicanti. Figuriamoci farci un altro governo insieme». Della stessa linea Luigi di Maio, che ha definito lo strappo di Italia Viva «un gesto irresponsabile e che, come avevo anticipato, divide definitivamente le nostre strade», lanciando poi un appello di ricerca ai costruttori europeisti «per il riscatto dell’Italia». Insomma, il fronte dei pentastellati è compatto intorno a Conte, alla tenuta dell’attuale esecutivo e all’apertura a possibili responsabili. Ma senza renziani in mezzo.

Il Pd lancia l’allarme del voto anticipato

Il Partito democratico è più scettico sulla possibile individuazione dei “responsabili”, tant’è che ha reso noto che «il rischio di andare a elezioni anticipate è alto». Dichiarazioni che da un lato vengono intese come una implicita chiamata ai responsabili, dall’altro vengono considerate un vero e proprio allarme per la tenuta dell’esecutivo, anche al netto del “rigetto”, da parte del Capo dello Stato, su possibili maggioranze “posticce”. Non a caso, il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, aveva commentato a caldo il “ritiro” dei renziani, definendolo «un grave errore fatto da pochi e che pagheremo tutti». I ministri del fronte dem si sono compattati intorno a Conte, ma nei giorni scorsi erano emersi diversi malumori interni rispetto alla leadership di Conte. Un nodo che verrà sciolto a livello interno presumibilmente nel pomeriggio di oggi, 14 gennaio. Unici punti di certezza sono la totale indisponibilità a creare alleanze di governo con esponenti o partiti della destra sovranista, come ribadito dal segretario Nicola Zingaretti. Ma oltre all’(ovvia) indisponibilità dei dem di allearsi con le destre, Zingaretti ha messo alla porta dalle possibili alleanze anche Italia Viva. «L’inaffidabilità politica di Italia Viva – sottolinea il segretario del Pd – è un dato presente e mina la stabilità di qualsiasi scenario si possa immaginare, nonché il coinvolgimento (di Italia Viva) in una nuova possibile ripartenza».

Il centrodestra chiede il voto anticipato. Salvini si dice pronto a fare il premier e Forza Italia nega il sostegno a un Conte-ter

Sul fronte dell’opposizione, il leader della Lega Matteo Salvini oltre a sottolineare di non aver intenzione di entrare a far parte di un governo di unità nazionale, ha chiesto a Conte di presentarsi oggi stesso in Parlamento a riferire, o di salire al Colle per formalizzare le dimissioni. L’auspicio, sul fronte del Carroccio, è quello che si vada a elezioni anticipate. Dal canto suo Salvini dice di esser pronto e di non aver intenzione di tirarsi indietro per guidare ipoteticamente un nuovo esecutivo con una maggioranza di centrodestra. Ma la leadership della coalizione di centrodestra è contesa con la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Anche FdI ha richiesto le dimissioni del premier e le elezioni anticipate, «appellandosi al presidente Mattarella affinché si possa chiudere questa querelle, dato che la democrazia non si rinvia all’infinito». E Forza Italia che fa? Al momento – mentre aumentano le preoccupazioni per lo stato di salute di Silvio Berlusconi, ricoverato d’urgenza a Monaco – la linea ufficiale è dettata da Antonio Tajani, che ha ribadito che «tocca ai partiti di sinistra fare in fretta e far sapere agli italiani cosa intendono fare», sottolineando che non ci sarà mai un sostegno da parte dei forzasti a un Conte-ter.

Tutto può ancora succedere

Oltre alle parti politiche di maggior peso a livello nazionale e alla linea generale dettata da ciascun leader, è pur vero che le eventuali mosse a sostegno della maggioranza dell’esecutivo, anche a livello di singoli esponenti di partito o di partiti più “piccoli” potrebbero cambiare le carte in tavola, che al momento sembrano tutte scompigliate. Al di là dei singoli proclami e delle diverse intenzioni, la crisi va risolta rapidamente, e il Quirinale difficilmente accetterà aggregazioni posticce per il raggiungimento di una maggioranza di Governo stabile. E da questa staccionata di paletti su eventuali possibile alleanze non è detto che qualcuno dovrà fare qualche passo indietro, come la storia recente degli ultimi governi italiani ci insegna. E non è detto che l’Italia immersa in questa polveriera politica, considerato anche il critico contesto pandemico, non venga trainata prima di eventuali elezioni anticipate non tanto da una fenice rinata dalle proprie ceneri, quanto da un Draghi, Mario. O perché no, da una donna a ricoprire per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana il ruolo di presidente del Consiglio, come Marta Cartabia. Ma il destino di Giuseppe Conte non sembra essere definitivamente segnato. Non resta quindi che aspettare e vedere, nel segno contiano del “wait and see“.

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