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Coronavirus. Quando finirà davvero la prima fase? Science prova a dare una risposta. Ma sono ancora tante le incognite

15 Aprile 2020 - 22:03 Juanne Pili
Quando finirà il distanziamento sociale? Dobbiamo aspettarci un ritorno della pandemia?

A noi generalmente non piace sentirci dire dalle autorità che si brancola ancora nel buio  – comprensibile, visto che conosciamo SARS-CoV2 da meno di quattro mesi – così dobbiamo accontentarci delle proiezioni (che non sono previsioni). E questa al momento è la principale domanda senza risposta: quando è prevista la fine delle misure di distanziamento sociale? 

Un recente studio apparso su Science ci viene incontro. I ricercatori di Harvard mostrano due scenari possibili. Che non si basano però su SARS-CoV2 ma su stime riguardanti i beta-coronavirus «OC43» e «HKU1» (Coronavirus umani comuni), valutando diversi parametri, quali una eventuale stagionalità e la probabile durata dell’immunità nei guariti. Tutti valori che per il nuovo Coronavirus conosciamo ancora assai poco. 

Come si comportano i Coronavirus umani comuni?

In sostanza sono stati usati virus di cui abbiamo conoscenze migliori, che possono essere responsabili però del raffreddore, non di una sindrome respiratoria. Del resto stiamo cercando di capire come si comporterà un patogeno appartenente alla famiglia dei Coronavirus, quindi non è un’ipotesi campata per aria quella di andare a vedere cosa fanno quelli che conosciamo meglio.

I ricercatori non possono permettersi di sottostimare i potenziali pericoli successivi alla fase iniziale più grave della pandemia. Così, valutando come indispensabile per il successo del distanziamento sociale fare in modo che non si superino le capacità dei reparti di terapia intensiva, non escludono l’eventualità di ritrovarci tra il 2022 e il 2024 con un «distanziamento sociale prolungato o intermittente». 

«Sono urgentemente necessari studi sierologici longitudinali per determinare l’estensione e la durata dell’immunità alla SARS-CoV-2 – continuano i ricercatori – Anche in caso di apparente eliminazione, la sorveglianza SARS-CoV-2 dovrebbe essere mantenuta poiché una ripresa del contagio potrebbe essere possibile nel 2024».

Cos’altro non sappiamo

La fine della pandemia non corrisponderà immediatamente alla scomparsa di SARS-CoV2. Per questo si valuta con cura una fase intermedia, con alcune attività che potranno riprendere subito, regolamentando il reinserimento dei lavoratori, per esempio attraverso dei passaporti dell’immunità. Diversi punti interrogativi sui tempi di convalescenza e la reale entità dei contagi fanno temere inoltre una seconda ondata.

Per questo si accelerano il più possibile i tempi per la sperimentazione di un vaccino, e si pensano metodi trasversali per riconoscere tempestivamente nuovi focolai post-pandemia, come il monitoraggio delle acque reflue.

È fondamentale costruire scenari che ci facciano capire come potrebbe evolversi la situazione in futuro. Diverse simulazioni hanno provato a mostrarci l’utilità del distanziamento sociale, come nei modelli proposti dal Washington Post lo scorso marzo. Noi però non siamo dei pallini in una rappresentazione matematica. 

C’è ancora molta confusione su come e perché utilizzare mascherine e guanti, inoltre risulta difficile avere il quadro completo della situazione, coi vari sistemi sanitari sotto stress e l’incapacità di effettuare test sierologici su intere popolazioni.

L’incognita dell’immunità

Tutto ruota attorno al concetto di immunità. Sappiamo bene che distanziamento sociale e una maggiore efficienza dei reparti di terapia intensiva, saranno cruciali. Ci sono inoltre buone speranze che un vaccino arrivi presto. Ma per quanto tempo si resterà immuni? Non è detto infatti che il Sistema immunitario conservi permanentemente memoria del virus.

Con l’Hiv praticamente non succede mai, con altri dura tutta la vita, mentre per quelli influenzali il Sistema immunitario dopo un po’ ha bisogno di “rinfrescarsi la memoria”: conoscere la durata delle difese del nostro organismo significa anche poter contare su una certa immunità di gregge (o meglio, di comunità), perché la massa di chi ha sviluppato gli anticorpi (guarito o vaccinato), potrà proteggere anche gli altri, specialmente quelli immunodepressi.

Due scenari principali: 

  • Il primo, più ottimista, riguarda una immunità permanente. In questo caso, finita questa ondata potremmo anche trovarci a essere protetti dai betacoronavirus presi come modello nello studio;
  • Il secondo, più pessimista, tiene conto di una immunità di qualche anno. Questo significa che potremmo aspettarci una nuova ondata nei prossimi anni.

C’è di buono che la ricerca in questione non tiene conto di altre due incognite: la comparsa di un vaccino efficace e lo sviluppo di farmaci e terapie valide per tutti. La speranza ci sta tutta, ed è anche giustificata dai promettenti sforzi che si stanno facendo nel Mondo per risolvere questi problemi. Ma ricerche di questo tipo non possono tenerne conto. 

Quindi, va benissimo non farsi prendere dal panico e portare pazienza, purché non si abbassi la guardia, promuovendo misure di prevenzione a lungo termine.

Foto di copertina: U.S. Air Force photo by Tech. Sgt. Robert Sizelove | Social distancing.

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