Coronavirus. Il toto-previsioni sul picco dei contagi ha senso? Chiediamoci prima come «appiattire la curva»

La previsione sul giorno peggiore ha molto di profezia alla Nostradamus. E poco di scientifico

Si consultano team di infettivologi e informatici, stabilendo pronostici sul raggiungimento di un possibile picco dei contagi da Coronavirus entro il 25 marzo, alcuni sono più pessimisti, altri anticipano di qualche giorno. Come avevamo visto per i cambiamenti climatici, l’errore di fondo sta nel confondere le proiezioni con le previsioni.


Oggi ovviamente non è possibile pronosticare una data del picco, in Italia come nel resto del Mondo. Ci sono tante variabili da considerare, per esempio non siamo in grado di censire tutti i cittadini e sottoporli sistematicamente al test (posto che sull’efficacia dei test nel dare certezza sui negativi ci sono molti dubbi), imponendo delle quarantene forzate sull’intero territorio nazionale.


Contro i pronostici sbandierati dai media si è espresso recentemente su Wired anche l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco. Quindi, per chi andasse di fretta, se vi state ancora chiedendo quando si prevede il picco, sappiate che perderete tempo, perché la domanda è sbagliata in partenza. Qui non daremo risposte, suggeriremo invece domande migliori.

Flettere la curva e aumentare l’efficienza del sistema sanitario

Quel che possiamo fare è elaborare degli scenari basati sui modelli di contenimento, chiedendoci cosa succederebbe se venissero applicati alla perfezione, al netto di tutte le variabili che possono sfuggire da una simulazione matematica. La domanda giusta allora non è “quando”, ma “come” potremo «appiattire la curva» dei contagi.

Il Washington Post pubblica il 14 marzo diversi esempi, mostrando come flette conseguentemente la curva. Prima però chiariamone l’importanza. Più rigidi ed efficienti saranno i controlli, tanto più la curva verrà appiattita, abbassando nelle proiezioni il picco dei contagi.

Solitamente viene rappresentata una linea tratteggiata parallela a quella del tempo di diffusione dell’epidemia, più è alta maggiore sarà la capacità del sistema sanitario di trattare i pazienti, soprattutto quelli in gravi condizioni. Chi pubblica i grafici della curva dei contagi in rete, non spiega sempre questi aspetti.

Wikimedia Commons | La curva dei contagi con o senza controlli.

Il problema principale infatti è fare in modo di poter coprire tutte le richieste, così eviteremo nuovi scivoloni di certa stampa, dove si straparla di medici costretti a «decidere chi salvare». Non è proprio così, ne avevamo trattato in un precedente articolo.

Maggiori sono i controlli più bassa si prevede che sarà la curva, e conseguentemente il picco rispetto alla linea della capacità, delle strutture e del personale sanitario, di assistere i pazienti. Questo è un altro fattore importante, perché maggiore sarà l’efficienza della sanità nell’affrontare la crisi, meno ci preoccuperà il picco. 

Anticipare il picco col distanziamento sociale

La curva esponenziale che abbiamo visto, non dipende dal fatto che improvvisamente il virus sia diventato più aggressivo, molto più probabilmente abbiamo avuto a un certo punto la possibilità di registrare i casi confermati, con più efficienza di prima.

Questo si è visto con più evidenza in paesi come gli Stati Uniti, dove tali informazioni inizialmente arrivavano col contagocce. Anche in Italia probabilmente ci sono stati dei problemi, ma non più di altri Paesi.  

Anche chiudendo i confini, più grande è la popolazione, maggiore sarà il tempo che ci vorrà prima che si raggiunga il picco di contagi, presumendo che non venga attivato alcun tipo di controllo: se aumenta il tempo per raggiungere il picco, significa che avremo molte più persone che si ammaleranno.

Finché la linea del sistema sanitario è sufficientemente alta non sarebbe un problema, salvo per il fatto che morirebbero comunque i soggetti più deboli, come anziani e altri con patologie pregresse, i quali non sono certo pazienti di serie B. 

Non conosciamo con certezza la mortalità di SARS-CoV2, ma limitare il numero delle vittime è uno dei maggiori problemi. Questa è la ragione per cui, in vista di un potenziale rischio di diffusione di una epidemia, ci si dovrebbe adoperare in anticipo nelle strutture sanitarie, in vista di misure volte a favorire il «distanziamento sociale».

Il sistema sanitario può influire nell’appiattire la curva, nella misura in cui, maggiore è il numero dei guariti, tanto più basse saranno le probabilità che avvengano nuovi contagi. Quando la curva supera la capacità di gestire tempestivamente tutti i casi, occorre fare qualcosa per limitare gli spostamenti delle persone. 

Circolare il meno possibile, limitandosi solo alle situazioni di necessità, restare a casa e seguire alcune norme igieniche e di profilassi, come da Decreto ministeriale, significa rendere più difficile il gioco del virus. Questo non significa che se non diminuiscono subito i contagi, allora tali misure non servono. Il distanziamento sociale permette anche di identificare meglio il percorso del virus e accertare i casi, monitorandoli. 

Forse sarà una magra consolazione, ma chi ha adoperato misure più ferree come la Cina, imponendo una quarantena forzata, non ha ottenuto risultati migliori di quelli previsti col distanziamento sociale. Un isolamento perfetto, oltre a violare i diritti delle persone, è praticamente un’utopia. Lo stesso discorso vale per la quarantena nelle navi.

Dobbiamo portare pazienza e continuare a stare a casa il più possibile, rimandando gli appuntamenti che ci metterebbero a contatto con un grande numero di persone. Se pretendiamo già una data oltre la quale tutto finirà, non è un buon inizio.

Foto di copertina: Wikimedia Commons | Flatten the curve.

Il parere degli esperti

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