Due anni di Giuseppe Conte: equilibrio ed equilibrismo del premier, dal sodalizio con Salvini all’emergenza Coronavirus – Il video

La parabola del presidente del Consiglio: sconosciuto agli italiani, in un biennio è diventato il leader più popolare del Paese in grado di gestire due maggioranze parlamentari di colore opposto

Due anni e due governi: dalla prima fiducia all’esecutivo Lega-M5s votata al Senato il 5 giugno 2018, a oggi, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato un funambolo sugli eventi recenti che hanno segnato il nostro Paese e la sua politica. Un paio di mesi dopo il suo insediamento a Chigi, ad agosto, a Genova crollava il Ponte Morandi. Poi ci sono state le elezioni europee, i pieni poteri invocati da Matteo Salvini e la formazione di un nuovo governo nel mezzo dell’estate. Fino ad arrivare alla pandemia del Coronavirus, momento in cui Conte ha raggiunto l’acme della popolarità.


Da legale e professore universitario, Conte è stato catapultato nell’agone politico senza rodaggi pregressi. Da subito il presidente si è investito del titolo di “avvocato del popolo italiano”. Eppure, la sua esperienza nei palazzi romani stava per arenarsi ancor prima di cominciare. Era il 21 maggio 2018 quando Conte ricevette l’incarico di formare un governo con le due forze populiste del parlamento, Movimento 5 stelle, primo partito alle elezioni del 4 marzo, e Lega, terzo dopo il Pd. Il Qurinale non vedeva di buon occhio l’assegnazione del ministero dell’Economia a Paolo Savona.


In quell’agone, le redini di Conte erano tenute strette dai suoi due vicepremier: il fuorionda del 7 giugno alla Camera, in cui il presidente del Consiglio chiese il permesso a Luigi Di Maio di pronunciare un passaggio del suo discorso e il leader dei 5 stelle glielo impedì, fu rappresentativo della subalternità di Conte al suo vice con la maggioranza più forte in parlamento.

Certo, un mese più tardi dell’insediamento, a luglio, arrivò l’endorsement del presidente degli Stati Uniti, ma sulla scena nazionale il presidente del Consiglio restava sempre in secondo piano rispetto a Di Maio e Salvini. «L’altamente rispettato primo ministro della Repubblica italiana, Giuseppi Conte ha rappresentato l’Italia in modo energico al G7 – twittò Trump -. Ama il suo Paese grandemente e lavora bene con gli Usa. Un uomo molto talentuoso che spero resti primo ministro».

Lo scarso appeal nazionalpopolare di Conte si manifestò nei giorni della tragedia del Ponte Morandi, il14 agosto 2018. La commemorazione delle vittime, la battaglia per la revoca delle concessioni autostradali, fu una passerella politica per tutti, tranne che per il premier. Intanto, nelle file della maggioranza, il leader leghista iniziava a scalpitare per rosicchiare sempre più consenso ai 5 stelle. Il ruolo di Conte diventò quello di ricucire, dietro le quinte, gli strappi tra le due forze politiche e con le istituzioni europee, che minacciavano l’apertura della procedura di infrazione per la legge di Bilancio 2019.

Con i fondi previsti dalla manovra economica, a gennaio, il governo varò due delle riforme simbolo delle rispettive campagne elettorali dei partiti di maggioranza: il reddito di cittadinanza, pilastro dei 5 stelle, e quota 100, di matrice leghista. Il lavoro di Conte stava diventando un continuo smussare, mitigare le divergenze tra i suoi due vicepremier, Di Maio e Salvini. L’equilibrio, tuttavia, resse anche grazie alla non autorizzazione a procedere per Salvini sul caso Diciotti – Conte decise di far assumere l’intera responsabilità al governo in materia di immigrazione – e alle mozioni di sfiducia indirizzate al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, respinte in maniera compatta.

L’avvicinarsi delle elezioni europee del 26 maggio 2019 rendeva, però, il lavoro di funambolo sempre più difficile per il presidente del Consiglio. I toni della propaganda furono duri anche tra i due partiti di governo, entrati spesso in contrasto. Quando i rapporti di forza del parlamento risultarono ribaltati dall’esito elettorale, con l’exploit della Lega che raggiunse il 34% dei consensi, il presidente del Consiglio si trovò a giustificare in pubblico gli strappi che da un lato e dall’altro sfilacciavano la maggioranza.

Il Carroccio iniziò, forte del risultato elettorale, ad alzare la posta in palio. Le aree di scontro diventarono la Tav, lo scandalo dei fondi russi al partito di Salvini e l’investitura di Ursula Von der Leyen come presidente della Commissione europea. Fu in quella stagione politica, a cavallo tra maggio e giugno 2019, che Conte iniziò a imporsi con più forza sulla scena mediatica. Non era più, come lo apostrofò l’europarlamentare Guy Verhofstadt, «il burattino di Salvini e Di Maio», piuttosto scelse di prendere le parti dei 5 stelle, cercando di affossare la propaganda e pretese salviniane.

Il 3 giugno 2019 Conte diede un ultimatum ai suoi vicepremier chiedendo la fine delle polemiche lanciate a mezzo stampa e sui social. L’ultimo tentativo di mediazione del presidente del Consiglio si arenò sulla spiaggia del Papeete: Salvini beveva il suo mojito dietro alla consolle mentre le cubiste ballavano sulle note dell’inno di Mameli. Lo scontro con Conte divenne inevitabile. L’8 agosto, il leader della Lega evocò la sua candidatura alla presidenza del Consiglio inebriato dal consenso delle elezioni europee.

Ed è qui che Conte completò la sua trasformazione e diventò un leader politico vicino al popolo. Il 20 agosto 2019, in piena estate, il presidente del Consiglio si presentò alle Camere per rassegnare le sue dimissioni: «Interrompo qui la mia esperienza di governo», disse. Di Maio, alla sua sinistra, sorrideva per la filippica indirizzata a Salvini, «ha perseguito interessi personali e di partito». Il leghista, intanto, baciava il rosario e mostrava impressioni di incredulità: Conte, soltanto un anno fa un perfetto sconosciuto, stava attaccando duramente il leader con più consenso del momento. Si candidò a essere il suo rivale politico.

Quando sembrava che le elezioni fossero inevitabili, Pd e 5 stelle, riuscirono a trovare un accordo per la nascita di un nuovo governo. Il 5 settembre Conte era di nuovo al Quirinale per un’altra cerimonia della campanella. Tra gli artefici dell’inedita maggioranza ci fu l’inaspettato Matteo Renzi che, a fine mese, fondò il suo partito Italia Viva, lasciando i dem. Il bene supremo era, ad ogni modo, restare uniti sotto la figura di Conte per scongiurare l’aumento dell’Iva e portare a termine la manovra finanziaria per il 2020.

Il gradimento per il presidente del Consiglio è esploso durante l’epidemia, trasformandolo in un vero sex symbol per migliaia di fan. “Le bimbe di Conte” è solo la più famosa di una miriade di pagine che osannano il presidente. Intanto, il 31 gennaio, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per il Paese. In un primo momento la situazione in Italia, parole di Conte, «sembrava sotto controllo». Gli unici contagiati in Italia erano due turisti cinesi, ricoverati all’ospedale Spallanzani.

A fine febbraio, però, si scoprono i primi focolai autoctoni del Paese, a Codogno e a Vo’ Euganeo. Conte, sotto la regia del suo capo della comunicazione Rocco Casalino, è diventato onnipresente: dirette Facebook, interviste, conferenze stampa a reti, di fatto, unificate. Il Paese inizia a guardare al presidente del Consiglio come cardine al quale affidarsi durante la crisi sanitaria.

È lui ad annunciare gli innumerevoli Dpcm, i lockdown e le riaperture. Lo fa con tono paterno, miscelando abilmente comunicazioni prettamente istituzionali a messaggi di conforto alla popolazione. Il 10 aprile 2020, Conte dichiara in diretta Facebook, ripreso da tutte le testate: «Questa volta lo devo dire, devo fare nomi e cognomi», accusando Salvini e Giorgia Meloni di diffondere fake news sul Mes. Conte ormai ha raggiunto l’apice della popolarità e ogni sua frase diventa un meme o un tormentone: «Questo governo non lavora con il favore delle tenebre». Impossibile non aver sentito o letto da qualche parte queste parole. Il regista del suo successo è il portavoce Rocco Casalino.

Conte, tuttavia, non ha ancora trovato il suo equilibrio definitivo: dopo un periodo di toni quasi paterni e di vicinanza agli italiani, in estrema difficoltà per l’emergenza prima sanitaria e poi economica, il presidente del Consiglio ha iniziato a giocare la sua partita sul campo delle relazioni con i capi di Stato esteri. Un tentativo di costruirsi un profilo più alto, partito con l’invito, in piena emergenza, a Emmanuel Macron a Napoli. C’è l’impressione che si stia candidando come uomo delle istituzioni: forte del riconoscimento interno al Paese adesso sta tessendo una fitta trama di credibilità estera, preferendo toni morbidi, senza sbavature. È l’ultimo stadio della trasformazione che lo porterà a creare un suo partito e a candidarsi alle elezioni politiche del 2023?

Montaggio video e grafiche: Vincenzo Monaco

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