Torna a casa il prof dell’appello con il casco dopo la terapia intensiva: «Prima di riaprire le scuole vaccinateci tutti»

di Fabio Giuffrida

I primi sintomi, poi il ricovero in ospedale in sub-intensiva. Ora il docente di Salerno è finalmente libero, ma a breve dovrà rientrare a scuola: «Luoghi di diffusione del virus»

Lo avevamo conosciuto a novembre quando Pierpaolo Fasano, 34 anni, era finito all’ospedale Loreto Mare, a Napoli, dopo essere risultato positivo al Covid. Un incubo fatto di casco per l’ossigeno, rumori assordanti, festività trascorse da solo in un letto d’ospedale (il compleanno il 21 dicembre, poi il Natale e il Capodanno) e persino gli insulti in rete. «Hanno insinuato sia che mi fossi beccato il virus perché obeso, e quindi con patologie pregresse, sia che volessi farmi pubblicità spettacolarizzando il mio dolore. E questo mi ha fatto molto male», dice a Open dalla sua casa. Sì, perché Pierpaolo, dopo 52 giorni di positività di cui 47 trascorsi in ospedale, è finalmente tornato a casa: «La prima cosa che ho fatto? Mangiare la pizza».


«Ecco perché è meglio la didattica a distanza»

OPEN | Pierpaolo Fasano dopo 52 giorni di positività

Il prof dovrà restare in isolamento per un’altra settimana. Intanto ha incontrato virtualmente i suoi alunni, del liceo scientifico Pisacane di Padula. «Mi sono mancati, certo. Continueremo con la didattica a distanza almeno fino al 24 gennaio ma spero che prosegua ancora». Il motivo? Le scuole «sono luogo di diffusione del virus. Non sappiamo quali contatti abbiano avuto i nostri ragazzi, considerando poi che abbiamo classi pollaio con 29 alunni, com’è nel mio caso. Nel comune in cui vivo, a Vallo di Diano, ogni giorno abbiamo avuto contagi nelle scuole con intere classi messe in quarantena per un alunno positivo».


Ma la ministra Lucia Azzolina dice il contrario. «Evidentemente io ho altri dati», ribatte. «Con questo voglio dire che il virus non nasce nella scuola, dove vengono rispettati i protocolli di sicurezza, ma arriva a scuola dall’esterno. Pensate, poi, alla situazione dei trasporti con i ragazzi che viaggiano in piedi sui pullman», spiega. Insomma non ci sono le condizioni per ripartire in sicurezza. È bene precisare, però, che, secondo l’Iss, la scuola ha causato solo il 2 per cento dei focolai in tutta Italia e che per i ragazzi delle superiori quello in Dad è stato un anno sprecato, secondo un’indagine di Ipsos e Save The Children.

«Vaccinare tutti prima di rientrare a scuola»

OPEN | Pierpaolo Fasano in sub-intensiva (immagini di novembre)

Per tornare a scuola, con maggiore serenità, secondo il prof Fasano, dovrebbero essere disposti vaccini a tappeto per tutti. Un po’ come ha proposto Matteo Renzi secondo cui andrebbero vaccinati i docenti il prima possibile. «L’ideale sarebbe non rientrare fino a quando non saremo tutti vaccinati», ha detto. Perché il prof Pierpaolo Fasano sa bene cosa significa ammalarsi di Covid, visto quello che ha passato e visto. Il virus è piombato nella sua famiglia da un contatto comune: mamma e papà sono stati asintomatici, il fratello si è curato in casa. Lui il più grave: in ospedale e anche in sub-intensiva. Se l’è vista brutta. «Per giorni ho vissuto col terrore di aver inconsapevolmente contagiato colleghi e amici. Avevo paura di aver fatto del male a qualcuno», ci confida. Ma il momento più brutto è stato quando gli hanno messo il casco per l’ossigeno.

L’incubo durato 50 giorni

«Inizialmente non potevo usare nemmeno il cellulare. Avevo il terrore di reazioni da parte dei miei genitori, una volta appreso del peggioramento delle mie condizioni di salute. Intanto vedevo solo cavi, sonde e casco che mi aiutava a respirare. Avevo la testa “sigillata”, come infilata in un sacco di plastica. Il rumore era continuo. Quando me l’hanno staccato, ho avuto anche problemi a sentire bene», racconta. Pierpaolo Fasano mangiava poco o nulla, ha perso più di 10 kg in pochi giorni e ha rischiato di impazzire: «Sì, perché da qualche settimana stavo meglio, non avevo più sintomi e, invece, i tamponi risultavano sempre positivi. Questo significa che non potevo lasciare l’ospedale, nemmeno a Natale e Capodanno. Per fortuna che gli infermieri ci hanno portato una bottiglia di spumante per brindare al nuovo anno…».

Insomma, era imprigionato nel suo corpo: «Sembrava quasi che qualcuno si fosse accanito contro di me», dice. Anche perché demoralizzarsi era fin troppo facile dentro un ospedale in cui vedeva «persone di 50-60 anni morire e finire direttamente al cimitero e ragazzi di 26-27 anni rimanere per settimane con il casco in testa», come lui d’altronde. Senza considerare, poi, che il suo incubo è cominciato il 19 novembre 2020 quando la situazione era drammatica in tutta Italia: «Pensate che io, di Salerno, sono stato portato a Napoli perché nella mia città non c’erano più posti in ospedale».

Foto in copertina di Pierpaolo Fasano | Elaborazione di Open

Continua a leggere su Open

Leggi anche: