Elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre: numeri e sfide di una tornata locale dai contraccolpi nazionali

La competizione all’interno della coalizione di centrodestra, il Movimento 5 stelle che rischia di perdere le due città più grandi che abbia mai governato – Roma e Torino – e la scommessa di Letta che, mentre corre per le suppletive, deve dimostrare al suo partito l’efficacia dell’alleanza giallorossa

Domenica 3 ottobre – dalle ore 7 alle 23 – e lunedì 4 ottobre – dalle 7 alle 15 1.192 comuni italiani sono chiamati a rinnovare sindaco e consiglieri. Sei di questi sono capoluoghi di regione – Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino e Trieste – nonché città il cui peso, tanto in termini economici quanto per il numero di abitanti, ha un significato politico non solo locale. I rappresentanti di rilievo dei vari partiti si sono spesi personalmente per cercare di convincere l’elettorato a scegliere il proprio candidato. Non senza tensioni interne alle coalizioni stesse. Come quelle tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che si contendono la leadership del centrodestra, o quella tra Partito democratico e Movimento 5 stelle, uniti a Napoli sotto il segno di Gaetano Manfredi, ma divisi più che mai a Roma, dove Virginia Raggi continua a tenere stretto in mano il pomo della discordia giallorossa.


Due posti per la Camera e le Regionali in Calabria

Non saranno elezioni destinate solo a mescolare il mazzo dei sindaci. Domenica e lunedì si vota anche per le suppletive della Camera nei collegi uninominali di Siena – per il posto lasciato da Pier Carlo Padoan, i due principali contendenti sono Enrico Letta, centrosinistra, e l’imprenditore vinicolo Tommaso Marocchesi Marzi, centrodestra -, e di Roma Primavalle, dove sono tre i favoriti per prendere il posto della pentastellata Emanuela Del Re: Pasquale Calzetta, centrodestra, Andrea Casu, centrosinistra, e l’outsider Luca Palamara, ex presidente dell’Anm. Infine, c’è la Calabria. Qui si vota per rinnovare il consiglio regionale dopo la morte di Jole Santelli. Vince chi arriva primo al turno unico: gli sfidanti principali sono Roberto Occhiuto per il centrodestra, Amalia Bruni per 5 Stelle e Pd, il sindaco di Napoli uscente Luigi de Magistris e Mario Oliverio, già presidente della Calabria dal 2014 al 2020.


Roma

Riguardo alle elezioni comunali, è la gara per il Campidoglio ad avere l’esito più incerto. La sindaca uscente del Movimento, Virginia Raggi, cerca la riconferma, sostenuta da tutti i big del suo partito. Ma non è affatto scontato che riesca ad arrivare al ballottaggio. Il centrodestra si è unito intorno al nome di Enrico Michetti, il Pd ha schierato l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e Carlo Calenda, leader di Azione, è il quarto incomodo che può strappare il pass per accedere al secondo turno. In totale, i candidati a sindaco della Capitale sono 22. Se a Roma gli attriti tra grillini e Dem sono emersi da subito, rischiando di compromettere persino quell’alleanza a livello nazionale che si sta cercando di tenere salda dopo la caduta del governo Conte II, a Napoli è proprio un ministro di quel governo a fare da collante tra le due forze politiche.

Napoli

Gaetano Manfredi, ex titolare del dicastero dell’Università, è il candidato del centrosinistra, o campo progressista allargato che dir si voglia. Sull’altro fronte, il centrodestra ha scelto di appoggiare il magistrato antimafia Catello Maresca, il quale però ha sottolineato a più riprese la sua indipendenza. «Me ne fotto dei simboli», aveva detto a inizio campagna elettorale, facendo infuriare soprattutto i leghisti. La sua corsa, tuttavia, è stata compromessa dall’esclusione di quattro liste a suo supporto, presentate in maniera irregolare. Competitor di Maresca per la seconda piazza disponibile del ballottaggio è il già due volte sindaco di Napoli Antonio Bassolino. Il politico di professione, che rivendica il suo essere «comunista», partecipa per la prima volta a una tornata elettorale senza il supporto di un grande partito del centrosinistra. Tra gli altri quattro aspiranti sindaci di Napoli, c’è anche Alessandra Clemente, ex assessora della giunta de Magistris.

Milano

Cerca la riconferma a Palazzo Marino il milanese Beppe Sala. In molti scommettono sulla sua vittoria al primo turno, facilitato anche dall’inchiesta sui finanziamenti illeciti che sta coinvolgendo la lista di Fratelli d’Italia, che sostiene il candidato di centrodestra Luca Bernardo. Insieme al pediatra e a Sala, candidato del centrosinistra unito con i riformisti, sono candidati Layla Pavone, manager dei 5 Stelle, e altri dieci candidati. Sembrerebbe chiusa alla vigilia la partita per lo scranno di primo cittadino bolognese. Matteo Lepore, assessore della giunta Merola, è il candidato di centrosinistra. Ha ricevuto anche l’appoggio dei 5 Stelle. Dall’altro lato della barricata, a sfidarlo, il centrodestra ha schierato l’imprenditore Fabio Battistini. Altri sei candidati completano la formazione degli aspiranti sindaci della città turrita.

Torino

A Torino, invece, gli scenari sono completamente ribaltati: nel capoluogo piemontese appare in leggero vantaggio l’imprenditore del Barolo e delle acque minerali, Paolo Damilano. Dem e pentastellati, sotto la Mole, sono divisi: i primi sostengono l’ex consigliere Stefano Lo Russo, i grillini invece puntano sull’ex consigliera dell’amministrazione Appendino, Valentina Sganga. Tredici, in totale, si sono candidati per le comunali di Torino, con molte probabilità che la partita si chiuda al ballottaggio. Le sfide locali, diverse tra loro per formazioni, accordi e condizioni pregresse di partenza, nascondono molteplici significati che si riverberano sul piano della politica nazionale.

L’esame per i partiti

Innanzitutto, centrodestra e centrosinistra saggeranno il proprio consenso da quando Mario Draghi si è insediato a Palazzo Chigi. Un test per Meloni – leader dell’unico partito all’opposizione -, Salvini – in calo di consensi – e i forzisti, che si presentano più uniti dei loro avversari: solo in un comune su tre, infatti, M5s e Pd hanno scelto di supportare lo stesso candidato. Nel campo largo del centrosinistra, poi, ci sono molte città dove non si è riusciti a trovare un’intesa su un solo nome che andasse bene a tutti i partiti di quell’area politica. Basti pensare a Roma, dove Calenda e Gualtieri, un tempo compagni di partito, si divideranno due grosse fette di elettorato. D’altro canto, il centrodestra, proprio in virtù della difesa dell’unione, ha dovuto nominare alcuni candidati estranei alla politica e, per questo, privi di un consenso personale precostituito.

La posta della scommessa è alta. Nel centrodestra, il mantra è: «Chi prende un voto in più degli altri, guida la coalizione». In vista delle legislative del 2023, Meloni scalpita per strappare la leadership a Salvini. Se a Roma è quasi scontato che la lista di Fratelli d’Italia prenderà più voti di Lega e Forza Italia, se il sorpasso riuscisse nelle grandi città del Nord come Milano e Torino, il contraccolpo farebbe traballare l’autorità del segretario sul Carroccio, già compromessa dalla vicenda Morisi.

Se la destra – tanto per l’affaire Bestia quanto per la lobby nera – è travolto dalle inchieste, non se la passano meglio Giuseppe Conte e Letta. Il primo, conscio che i grillini non sono mai andati bene alle amministrative, rischia di dover giustificare agli elettori la perdita di città importanti come Roma e Torino. Ed è la sua prima tornata elettorale da leader incaricato – e certificato online – del Movimento. Il segretario Dem, che ha investito tanto nell’alleanza con i 5 Stelle – già dal suo discorso di insediamento come segretario -, dovrà dimostrare alle correnti del Pd che aveva ragione. Se le «massime convergenze» con i grillini falliranno, i big del Pd gliene chiederanno conto durante il prossimo congresso. Mentre, sul fronte personale, Letta è obbligato a vincere lo scranno di Montecitorio, confrontandosi con il 36,2% di preferenze che Padoan ottenne nel collegio di Siena alle scorse elezioni.

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