Di chi è l’Amazzonia? Cosa c’è di vero dietro il discorso di Bolsonaro all’Onu

Secondo il Presidente brasiliano la questione amazzonica sarebbe stata ingigantita dai colonialisti

Durante la 74esima Assemblea generale dell’Onu l’atteso intervento del presidente Jair Bolsonaro non ha deluso le aspettative: sono partiti per lo più attacchi alla stampa internazionale che ne avrebbe fatto un capro espiatorio per la situazione in cui versa la foresta pluviale amazzonica – ovviamente la parte che riguarda il Brasile – mentre le diplomazie internazionali avrebbero mostrato sentimenti colonialisti nei confronti del suo Paese.

Diverse importanti testate brasiliane di fact checking elencate sul network di Poynter – che riunisce tutti i principali progetti al Mondo coinvolti nella lotta contro le fake news – hanno analizzato le parole del Presidente, facendo il punto sulla loro veridicità.

Avevamo già avuto modo di appurare tramite contatti locali la situazione della foresta pluviale, riscontrando che non tutti i mali potevano essere imputati solo a Bolsonaro, ma la questione degli incendi è stata davvero ingigantita? 

Buona parte del territorio è preservato, ma non basta

Secondo Bolsonaro «Il 61% del nostro territorio è preservato». Questo sostanzialmente è vero, anche se non è sufficiente a escludere eventuali inefficienze e illeciti nella foresta pluviale, dove il disboscamento mediante incendi per accaparrasi terreni da sfruttare, non è certo una novità apparsa durante l’amministrazione attuale. 

Secondo un sondaggio della Nasa pubblicato nel dicembre 2017 e confermato da uno studio di Embrapa, organo nel ministero dell’Agricoltura brasiliano, un’area pari a 43 Paesi e 5 territori europei (il 66,3% del territorio brasiliano) risulta effettivamente sotto controllo: parliamo di 632 milioni di ettari di vegetazione.

Va aggiunto ad ogni modo, che negli ultimi anni sono andati perduti 71 milioni di ettari di vegetazione. Tanto per farci un’idea, se nel 1985 la foresta pluviale contava 594 milioni di ettari, nel 2017 erano scesi a 523 milioni: l’equivalente di quattro Stati brasiliani andati in fumo.

Improbabili paragoni tra Brasile, Francia e Germania

«Francia e Germania – prosegue Bolsonaro – utilizzano oltre il 50% dei loro territori per l’agricoltura». Anche questo è vero, ma va contestualizzato. Nessuno di questi Paesi ospita una foresta pluviale, tanto meno una ricchezza di fauna e flora paragonabile.

Gli ettari di foresta perduti dal Brasile dal 1985 a oggi sono circa 47,4 milioni. Stando ai dati più recenti della Fao in Francia sono utilizzati a scopo agricolo 28,7 milioni di ettari; in Germania 18,1 milioni di ettari. 

Quanti ettari di foresta sono andati perduti in Brasile?

La prima volta che possiamo beccare totalmente in fallo Bolsonaro è quando parla della percentuale di territorio che il Brasile utilizzerebbe per la produzione agricola: «Il Brasile utilizza solo l’8% del suo territorio per la produzione alimentare».

Le cose non stanno proprio così. Occorre distinguere le colture dall’effettiva produzione alimentare. La produzione agricola rappresenta in Brasile il 28,2% del territorio, parliamo di 235,9 milioni di ettari (cfr. dati Fao).

Questo non può essere indipendente dal parallelo disboscamento in corso nella forseta amazzonica, con buona pace del Presidente il quale invece prosegue affermando che «la nostra Amazonia … rimane praticamente intatta». Piuttosto ardita come analisi. Basta dare un’occhiata ai dati riportati su MapBiomas, che monitora dai satelliti lo stato della vegetazione e l’uso del suolo in Brasile sulla base dei vari biomi.

Scopriamo così che nel 2018 su 411 milioni di ettari di foresta, il 14% (59,1 milioni di ettari) è stato alterato per scopi urbani, attività estrattive e produzione agricola. Inoltre, come già accennato, nell’arco di 34 anni l’Amazzonia ha perso circa 47,4 milioni di ettari di foreste. 

Il tentativo di sottostimare la questione degli Indios

Bolsonaro sottostima anche il problema dei nativi che abitano la foresta amazzonica, di cui ci eravamo occupati in un articolo precedente, intervistando il responsabile di una riserva nel Mato Grosso. Il Presidente riguardo alla riserva Ianomâmi afferma che sia abitata da appena «15mila indios». Stando all’ultimo censimento risalente al 2010, gli Indios della riserva sono 25.719. 

Secondo quanto riporta l’agenzia di fact checking brasiliana Lupa, Bolsonaro nel maggio scorso fece anche di peggio, sostenendo che gli Indios fossero appena novemila. Parliamo di una svista che sfora il 100% del numero totale. 

Il Brasile è ai primi posti nel proteggere l’ambiente?

Dal momento che effettivamente buona parte del territorio brasiliano è da considerarsi protetto, Bolsonaro va oltre affermando nel suo intervento che «Siamo uno dei Paesi che proteggono maggiormente l’ambiente».

Invece il Paese è al 96° posto per conservazione delle foreste, mentre su clima ed energia le cose vanno anche peggio: il Brasile si attesta infatti al 157° posto (cfr. Lupa). Forse le emissioni dovute alla deforestazione mediante incendi sono fattori che il Presidente deve essersi scordato, mentre esaltava le virtù ambientaliste del Brasile.

Falsi miti e presunto colonialismo

«È un errore affermare che [la foresta amazzonica] sia patrimonio dell’umanità – sostiene il Presidente – è un malinteso confermato dagli scienziati dire che la nostra foresta amazzonica sia il polmone del mondo».

Anche in questo caso occorre contestualizzare. Sicuramente la storia del 20% di ossigeno prodotto dalla foresta pluviale è un falso mito ormai conclamato. Tuttavia il problema ambientale rimane, ed è gravissimo. 

Quando Jonathan Foley spiega la natura di questa misinformazione a Forbes afferma infatti anche che il 25% di carbonio mondiale nella biosfera viene immagazzinato proprio dalla foresta amazzonica. Secondo i dati del progetto Copernicus, oggi si contano 230 milioni di tonnellate di anidride carbonica emessi nella regione.

Affermare che si tratti solo di un problema brasiliano, etichettando le preoccupazioni degli altri paesi come «colonialismo», cozza col fatto che Italia e Cina sono tra i paesi col più alto numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità.

La lista comprende tutti i siti al Mondo che per ragioni culturali e naturali meritano di essere tutelati, e rappresenta anche un impegno per tutti gli Stati che fanno parte dell’Onu, secondo il principio di tutelare tutte le culture e far fronte ai problemi ambientali, tutti assieme.

Forse anche per questo Bolsonaro dovette fare marcia indietro, accettando gli aiuti economici – inizialmente rifiutati – offerti nell’ambito del G7 per far fronte all’emergenza degli incendi (20 milioni di dollari). Inoltre, il Brasile è stato l’unico Paese del Sudamerica a essere stato un impero autonomo, dal 1822 al 1889

Bolsonaro può anche giocare la carta del “colonialismo”, visto che prima di essere un impero il Brasile è stato effettivamente una colonia europea, ma lo stesso si potrebbe dire degli Stati Uniti. Vale la pena quindi analizzare la questione da tutti i punti di vista.

Tutta colpa di Bolsonaro?

Come abbiamo avuto modo di approfondire assieme al collega debunker Marco Faustino del sito di fact checking e-farsas, il problema degli incendi appiccati a scopo agricolo in Brasile non è un fenomeno cominciato durante l’amministrazione Bolsonaro. Ma che il fenomeno risulti triplicato rispetto al 2018 è un dato difficile da confutare.

Quest’anno sono andati letteralmente in fumo 1.700 chilometri quadrati di foresta (46.825 incendi), mentre nel 2018 se ne contavano 526 (22.165 incendi). Un numero di incendi superiore a quelli registrati nell’intero 2012 (4.571 incendi).

Foto di copertina: ANSA/EPA/JASON SZENES/Jair Bolsonaro allOnu.

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