I primi attriti all’interno del governo Draghi si consumano intorno al nuovo Dpcm. Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi si è opposto alla chiusura delle scuole in zona arancione: «Eh no, se vogliamo chiudere le scuole in arancione, allora voglio vedere chiusi anche i centri commerciali. Non è pensabile non far andare i ragazzi in aula e vederli poi assembrati fuori», avrebbe detto. La prima notizia trapelata dalla cabina di regia di oggi, 2 marzo, proprio sul tema della scuola è che l’intenzione del governo sarebbe quella di lasciare l’autonomia alle regioni che raggiungono il parametro di 250 casi ogni 100mila abitanti: qualora fossero in zona arancione, potrebbero essere i governi locali a dover decidere se chiudere o tenere aperti gli istituti scolastici.
L’incontro tra governo e Regioni sul nuovo Dpcm è terminato nel primo pomeriggio: i ministri per gli Affari regionali e della Salute, Mariastella Gelmini e Roberto Speranza illustreranno le nuove misure del Dpcm sull’emergenza epidemiologica da Covid-19 alle ore 18.45 in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Con loro anche il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, e il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli.
Il governo, inizialmente, aveva espresso una posizione unanime sul parere del Comitato tecnico scientifico soltanto relativamente alla chiusura delle scuole di ogni ordine e grado in zona rossa. Non c’era invece l’accordo su quanto proposto dal coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo: interruzione della didattica in presenza qualora nelle regioni in zona arancione si superino i 250 casi di Coronavirus ogni 100 mila abitanti. Così, anche la cabina di regia di ieri sera, primo marzo, non è stata sufficiente a chiudere i lavori per il primo Dpcm siglato da Mario Draghi, provvedimento che dovrà entrare in vigore il 6 marzo e sarà valido per 30 giorni.
Anche i governatori chiedono di chiudere
La questione sollevata da Bianchi e da altri ministri come Speranza, Bonetti, Franceschini e Patuanelli – in contrapposizione a Giorgetti e Gelmini – è che non ha senso chiudere le scuole permettendo, invece, ai negozi di restare aperti in zona arancione. Nell’impasse del governo centrale, alcuni presidenti di Regione si sono mossi in autonomia. Luca Zaia, del Veneto, l’ha detto chiaramente: «Molte delle Regioni che oggi sono in difficoltà hanno aperto le scuole quasi un mese prima di noi. Guardiamo i dati epidemiologici: credo che la correlazione con le scuole ci sia fino in fondo. Non lo dico io, ma la letteratura scientifica».
«Non voglio aspettare che si ammalino i bambini prima di dover chiudere queste scuole», gli ha fatto eco il governatore calabrese Nino Spirlì. La linea dei prudenti trova supporto nei numeri della pandemia in Italia: lunedì primo marzo, rispetto al lunedì della settimana precedente, i contagi sono aumentati del 36%. Per quanto riguarda le scuole, è la questione varianti ad allarmare particolarmente gli scienziati: il 60% degli attualmente positivi ne sarebbe colpito, sommando le varianti cosiddette inglese, brasiliana e sudafricana. E le varianti, diversi studi l’hanno dimostrato, si diffondono con estrema facilità anche tra la popolazione di età scolastica.
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