Coronavirus, il caso Italia sul New York Times: «Un esempio da non ripetere, serva da lezione agli altri»

«La tragedia dell’Italia è un avvertimento per i suoi vicini europei e gli Stati Uniti, dove il virus sta arrivando con la stessa velocità. Se l’esperienza italiana mostra qualcosa, è che le misure per isolare le aree colpite e limitare i movimenti della popolazione più ampia devono essere prese in anticipo, messe in atto con assoluta chiarezza, quindi rigorosamente applicate», scrive il Nyt

Il New York Times ricostruisce le tappe dell’emergenza Coronavirus in Italia, partendo dal 27 febbraio quando il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti (risultato poi anch’egli positivo al virus) partecipava a un aperitivo a Milano invitando a «non cambiare le nostre abitudini», fino al messaggio del premier Conte di sabato 21 marzo in cui è stata annunciata l’ulteriore stretta, con la chiusura di tutte le attività ad eccezione di quelle strategiche e indispensabili per il sistema Paese.


Per il quotidiano newyorchese, «la tragedia dell’Italia ora rappresenta un avvertimento per i suoi vicini europei e per gli Stati Uniti, dove il virus sta arrivando con la stessa velocità. L’esperienza italiana mostra, fuori dai confini nazionali ed europei, che le misure per isolare le aree colpite e limitare i movimenti della popolazione più ampia devono essere prese in anticipo, messe in atto con assoluta chiarezza, quindi rigorosamente applicate».


Il nostro Paese è l’esempio, scrive ancora il New York Times, che le misure adottate «sono sempre rimaste indietro rispetto alla traiettoria letale del virus»: scelte arrivate fino ad ora in ritardo per «preservare le libertà civili di base e l’economia». Gli altri Paesi però oggi non hanno la scusa di «navigare in un territorio inesplorato per una democrazia occidentale».

L’errore principale dell’Italia, sempre secondo il Nyt, sarebbe stato quello di «minimizzare la minaccia, creando confusione e un falso senso di sicurezza che ha permesso la diffusione del virus», suscitando nella popolazione «isteria» e offuscando «l’immagine del paese all’estero». Anche le regole imposte non avrebbero funzionato perché «sembravano piene di scappatoie».

Vengono poi riportate le parole, rivelatrici, di Sandra Zampa, sottosegretaria alla Salute, secondo cui l’Italia ha esaminato l’esempio della Cina non come un avvertimento pratico, ma come un «film di fantascienza che non aveva nulla a che fare con noi». E quando il virus è esploso, l’Europa, «ci ha guardato allo stesso modo in cui guardavamo la Cina».

Significativo dell’esempio italiano, per il quotidiano statunitense, è anche il caso del cosiddetto “Paziente 1”, «un super-spargitore in un’area densamente popolata e dinamica che è andata in ospedale non una, ma due volte, infettando centinaia di persone, tra cui medici e infermieri». «Ma non aveva avuto alcun contatto diretto con la Cina, e gli esperti sospettano che avesse contratto il virus da un altro europeo, il che significa che l’Italia non aveva un paziente identificabile zero o una fonte rintracciabile di contagio che potesse aiutarlo a contenere il virus». L’uomo «aveva avuto un mese impegnativo. Ha partecipato ad almeno tre cene, ha giocato a calcio e ha corso con una squadra, il tutto essendo apparentemente contagioso e senza sintomi pesanti».

«Il virus era già attivo da settimane in Italia da allora, dicono gli esperti – scrive ancora il Nyt – passato da persone senza sintomi e spesso scambiato per influenza. Si è diffuso in Lombardia, la regione italiana che ha di gran lunga il volume di commercio maggiore con la Cina, e a Milano, la città più vivace dal punto di vista culturale e commerciale».

Poi vengono ricordate le parole del ministro degli esteri Luigi Di Maio che nei primi giorni dello scoppio dell’epidemia dichiarò: «In Italia, siamo passati dal rischio di un’epidemia a un’infodemia», denigrando, secondo il Nyt, «la copertura mediatica che ha messo in evidenza la minaccia del contagio e aggiungendo che solo lo “0,089 percento” della popolazione italiana era stato messo in quarantena», cioè i residenti nei paesi del primo focolaio lombardo. Altro errore che gli altri Paesi chiamati a gestire l’emergenza dovrebbero evitare.

Il quotidiano, nel ripercorrere l’esempio italiano ricorda ancora i messaggi contrastanti arrivati ai cittadini dal governo centrale e dalle istituzioni locali, ma anche all’interno delle stesse amministrazioni: con il sindaco di Milano Beppe Sala che pubblicizza la campagna «Milano non si ferma» e il presidente della regione Lombardia Fontana che chiede al governo misure più stringenti a distanza di pochi giorni.

Poi il decreto del presidente del consiglio che estendeva la zona rossa a tutto il Paese e, ancora una volta in autonomia e unilateralmente «alcuni governatori regionali hanno ordinato autonomamente alle persone provenienti dall’area appena chiusa di mettersi in quarantena. Altri no». Per il quotidiano ancora una volta un messaggio confuso dato alla cittadinanza.

Stando a quanto scrive il New York Times, l’Italia «sta ancora pagando il prezzo di quei primi messaggi contrastanti di scienziati e politici. Le persone che sono morte di recente in numero impressionante – più di 2.300 negli ultimi quattro giorni – sono state per lo più infettate durante la confusione di una settimana o due fa. Roberto Burioni, eminente virologo dell’Università San Raffaele di Milano, ha affermato che le persone si sono sentite al sicuro nel fare le loro solite routine e ha attribuito il picco dei casi la settimana scorsa a “quel comportamento”».

Infine, il quotidiano chiude il racconto dell’esperienza italiana, monito per gli altri Paesi chiamati ad affrontare l’emergenza, con l’esempio della gestione della crisi del presidente della regione Veneto Luca Zaia e in particolare con la proliferazione dei contagi notevolmente ridimensionata, rispetto alla Lombardia, «a Vò, una città di circa 3.000 persone che è stata una delle prime in quarantena e che ha avuto la prima morte di coronavirus nel paese».

Zaia, inoltre, «aveva anche ordinato dei test generalizzati lì (nel focolaio di Vo’, ndr), in contrasto con le linee guida scientifiche internazionali e il governo nazionale. L’esecutivo aveva sostenuto che testare le persone senza sintomi era una perdita di risorse». A questo proposito vengono riportate le parole del governatore secondo cui «almeno questo rallenta la velocità del virus», che poi ha sostenuto che i test hanno contribuito a identificare persone potenzialmente contagiose senza sintomi: «E rallentare la velocità del virus così da permettere agli ospedali di respirare». Un avvertimento per gli Usa e per gli altri Paesi.

Il parere degli esperti

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