Un anno di proteste e mobilitazioni: i movimenti del 2019 che hanno visto i giovani protagonisti (e che dovremmo tenere d’occhio anche nel 2020)

Il 2019 è stato anche l’anno delle manifestazioni e delle proteste dei giovani che hanno smosso le coscienze e a volte causato dei veri e propri terremoti nella politica. Ma quali tra questi movimenti sembrano destinati a essere protagonisti anche l’anno che sta arrivando?

Cambiamento climatico, democrazia, parità di genere, antirazzismo, disuguaglianza e sovranità. L’anno, incominciato con le proteste dei Gilet Gialli in Francia che manifestavano contro il rincaro del carburante, ha visto scioperare migliaia di ragazzi che protestano contro l’ignavia della classe dirigente, ha assistito attonito allo scoccare delle frecce dagli archi degli studenti del Politecnico di Hong Kong e si è stupito di fronte all’avanzata delle Sardine, che da Bologna hanno nuotato fino a Palermo e Milano.


Nonostante le tante differenze fra i vari movimenti, tutti hanno una cosa un comune: al loro centro ci sono giovani come Alaa Salah, la studentessa 22enne la cui foto ha fatto il giro del mondo durante le proteste in Sudan che hanno portato alle dimissioni del presidente Omar-al Bashir.


In Sudan come in Libano e in Algeria le manifestazioni si sono spente dopo aver portato a un cambio di governo o di regime. In altri luoghi si sono affievolite, tornando a un stadio di latenza dopo un’esplosione di rabbia e di indignazione. È il caso, per esempio, del movimento indipendentista in Catalogna. Ma quali tra questi movimenti sembrano destinati a essere protagonisti anche nel 2020?

Le Sardine 

Cosa ne sarà delle Sardine? Il primo grande test per il futuro delle Sardine saranno le regionali in Emilia-Romagna. Il movimento nato a novembre 2019 con la manifestazione delle 6.000 sardine (erano almeno il doppio) per arginare l’onda leghista in piazza a Bologna, dovrà misurarsi con la prima gara elettorale in cui avrà giocato da protagonista nella lotta contro la Lega

Il voto darà un’idea del reale potenziale elettorale del movimento e non solo del suo valore simbolico. Ma anche un’eventuale vittoria della candidata leghista Lucia Borgonzoni non ne decreterà necessariamente la fine.

Il movimento ha deciso di non costituirsi formazione politica, almeno per il momento, ma questo non gli ha impedito di continuare la sua avanzata nazionale (ultimamente per esempio sono sbarcati a Reggio Calabria) e di darsi un’organizzazione: dopo il manifesto è arrivato il primo congresso nazionale e una piattaforma online per «parlarsi e decidere insieme». Tanto che il movimento ha fatto proseliti anche all’estero, ispirando nuovi movimenti, come l’Aringhe del Baltico in Finlandia, contro l’abbrutimento del linguaggio politico, una piaga che in Italia come altrove non sembra essere destinata a sparire nei prossimi mesi.

Hong Kong 

Non è bastato aver accantonato la legge sull’estradizione di criminali e dissidenti in Cina per fermare i moti che dal giugno del 2019 hanno riempito le strade di Hong Kong. Le manifestazioni sono continuate, diventando violente con il crescendo degli scontri con la polizia.

Foto: EPA/FAZRY ISMAIL| Joshua Wong attivista pro-democrazie e segretario generale di Demosisto, uno dei volti più noti delle proteste

Da una le richieste dei manifestanti sono diventate cinque. Oltre alle dimissioni della governatrice Carrie Lam, gli attivisti esigono l’amnistia per tutti i manifestanti, chiedono che venga avviata un’inchiesta ufficiale sulla condotta della polizia, che sia riconosciuta la legittimità delle proteste, ufficialmente classificate come sommosse, e infine che venga introdotto il suffragio universale. 

Novembre avrebbe dovuto segnare la disfatta del movimento pro-democrazia, con l’assedio da parte della polizia di diverse università a Hong Kong, tra cui Politecnico (palcoscenico di scontri particolarmente violenti) o la sua rivincita, con la vittoria schiacciante dei candidati anti-Pechino nelle elezioni distrettuali a fine mese. Eppure non è andata così e il mese di dicembre ha visto nuove manifestazioni e nuovi scontri. Non c’è motivo di pensare che il 2020 non inizi nel modo in cui è finito il 2019. 

Fridays for Future 

È stato un anno memorabile per Greta Thunberg e per il movimento a lei ispirato, Fridays For Future. La giovane attivista che a quindici anni ha cominciato a “scioperare per il clima” fuori dal parlamento svedese, ha ispirato migliaia di ragazzi e ragazze a fare altrettanto, dal Belgio all’India e Australia, dagli Stati Uniti all’Italia. 

Tanti i traguardi raggiunti: oltre alle manifestazioni globali per il clima sono diversi gli Stati, i parlamenti e i comuni che, sulla spinta dei Fridays, ma anche di altri movimenti ambientalisti come Extinction Rebellion, hanno dichiarato l’emergenza climatica, impegnandosi a introdurre nuove misure di contrasto al cambiamento climatico. Per esempio, la neo-commissione von der Leyen ha deciso di aumentare dal 40% al 50-55% gli obiettivi di riduzione di gas serra fissati per il 2030.

Foto: ANSA/ FOTOGRAMMA/ CARLO COZZOLI | Il corteo degli studenti che partecipano al quarto Sciopero globale per il clima organizzato da Fridays For Future, Milano, 29 novembre 2019

Per il movimento non ci sarebbe motivo di fermarsi adesso, vista la lentezza con cui la politica sta rispondendo all’emergenza climatica, come è stato fin troppo evidente all’ultimo summit Onu sul clima, la COP 25, finito un in nulla di fatto. Nel frattempo il movimento in Italia, che un anno fa contava decine di attivisti agli scioperi del venerdì si sta preparando ad ospitare a Torino, dopo la visita di Greta Thunberg, il raduno internazionale del movimento, fissato per il prossimo agosto.

Cile 

Il 21 dicembre migliaia di manifestanti sono tornati a riempire il centro di Santiago del Cile, scontrandosi duramente con la polizia. È così che, come in Francia con i Gilet Gialli o in Iran dopo l’aumento della benzina, una protesta di liceali contro l’aumento del biglietto della metropolitana, all’apparenza innocua, si è trasformata un movimento anti-governativo di più ampia portata. 

Dall’inizio delle proteste sono morte almeno 26 persone. A queste si sommano decine di denunce di violenze sessuali nei confronti delle forze dell’ordine, con tanto di flash mob internazionale per protestare contro lo «Stupro di Stato», arrivato anche in Italia. Il presidente Pinera nel frattempo ha cercato di mediare proponendo un aumento del salario minimo, un miglioramento del sistema pensionistico e annunciando un referendum per rivedere, come chiedono i manifestanti, la costituzione.

Il referendum dovrebbe tenersi ad aprile ma secondo recenti sondaggi, circa due terzi dei cileni credono che le proteste debbano comunque continuare, prolungando quello che gli analisti chiamano la “Primavera latino-americana”.

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