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Lampedusa porta d’Europa. Da Fuocoammare a gelo in terra? «La rabbia è arrivata fino a qui»

09 Luglio 2019 - 06:26 Angela Gennaro
«La distorsione della realtà tramite i social e i media produce tanta di quella rabbia che poi si cede anche agli scontri fisici che, se si continua così, succederanno anche a Lampedusa», dice il sindaco Martello allargando le braccia

La Open Arms è in rada a poche miglia da Lampedusa per il cambio di equipaggio, dopo 15 giorni di missione nel Mediterraneo Centrale. Al molo Favaloro resta ormeggiato il veliero Alex & Co. della ong Mediterranea Saving Humans: è stato confiscato, ma è lì. Anche Sea Watch 3, ora a Licata sotto sequestro probatorio, è passata da qui. Lampedusa continua a rappresentare plasticamente lo scontro ai massimi livelli tra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e le organizzazioni umanitarie che, ostinatamente, continuano a fare soccorso nel Mediterraneo Centrale. In quella che resta una delle rotte migratorie più letali al mondo.

«Questa è un’isola felice. Ma dipende dall’approccio: se scendi dall’aereo e piangi, vuol dire che sei nel posto giusto. E molti piangono», dice sorridendo Enzo mentre prepara le reti sul suo peschereccio Palermo Nostra. Pronti a salpare, per restare in mare tre giorni. I pescatori, si dice, i pescatori il mare lo conoscono. Conoscono la legge del mare. Sanno che si fanno molti errori, tra le onde, e che quel blu può essere una tomba.

Infrangere il tabù del mare

Lo sanno. Ma ora anche tra loro serpeggia il malcontento, non più taciuto. Il tabù della sacralità del salvataggio è saltato anche per alcuni uomini di mare, qui a Lampedusa. Alcuni non ne possono più dei giornalisti – o meglio, del fatto che quelle telecamere siano qui solo per parlare di coloro che vengono definiti «clandestini».

Una foto diffusa dal Vaticano l’8 luglio 2019: Papa Francesco in Vaticano dopo la Santa Messa in occasione del sesto anniversario della sua visita a Lampedusa. Ansa/Vatican Media

Certo, che il mare possa essere una tomba, qui, lo sanno bene: «È stato il 2013 a costituire un punto di svolta», racconta Alberto Mallardo di Mediterranean Hope, progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia che a Lampedusa ha un Osservatorio permanente sulle migrazioni. L’8 luglio di quell’anno, la visita del Papa – di cui a Roma si è celebrato il sesto anniversario con una messa per i migranti e gli operatori umanitari. «Un momento importantissimo per la vita dell’isola, che veniva dall’annus horribilis del 2011, quando qui sono arrivate 56mila persone», dice Mallardo.

Una foto dell'Osservatore Romano mostra Papa Francesco gettare una corona di fiori nel mare di Lampedusa, approdo di molti migranti in occasione della sua visita nell'isola, 8 luglio 2013. EPA/L'Osservatore Romano
Una foto dell’Osservatore Romano mostra Papa Francesco gettare una corona di fiori nel mare di Lampedusa, approdo di molti migranti in occasione della sua visita nell’isola, 8 luglio 2013. EPA/L’Osservatore Romano

Ma il 2013 è anche l’anno del grande naufragio, quello del 3 ottobre. A poche miglia dal porto, un grande peschereccio di legno si ribalta e capovolge: 368 morti, 20 dispersi, 155 persone salvate. «Sono arrivato lì che avevano appena tirato su l’ultimo naufrago. Ho trovato una situazione terribile: ogni volta che ci penso tremo», dice Enzo. «Immagina un barcone che si rovescia. Magari di notte. So cosa vuol dire rischiare di annegare». Le persone salvate «sono state accolte dalla comunità lampedusana, anche nelle loro case», dice Alberto.

Uno dei due barconi, a bordo del quale viaggiavano centinaia di migranti, approdato al Porto di Lampedusa, 3 ottobre 2013.  L'altro barcone è, invece, affondato durante la navigazione e il bilancio, alla fine, è di 368 morti, 20 dispersi, 155 persone salvate. Ansa/Claudio Peri
Uno dei due barconi, a bordo del quale viaggiavano centinaia di migranti, approdato al Porto di Lampedusa, 3 ottobre 2013. L’altro barcone è, invece, affondato durante la navigazione e il bilancio, alla fine, è di 368 morti, 20 dispersi, 155 persone salvate. Ansa/Claudio Peri

«Sono stati con noi per mesi, anche a causa del processo», racconta Nino Taranto. Mamma napoletana, papà lampedusano, ha scelto l’isola come suo luogo di elezione, «perché mio nonno era di qui, il mio bisnonno anche e così i miei avi» e ora è il presidente dell’Associazione culturale Archivio storico di Lampedusa, nata con lo scopo di approfondire la ricerca storica e «far conoscere la storia dell’isola ai lampedusani, che ne sanno pochissimo, e a chi arriva qui».

Nella foto postata sul profilo Twitter della sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, l'interno dell'hangar dove sono stati raccolti i cadaveri recuperati dopo la tragedia in mare, 3 ottobre 2013. Ansa/Twitter
Nella foto postata sul profilo Twitter della sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, l’interno dell’hangar dove sono stati raccolti i cadaveri recuperati dopo la tragedia in mare, 3 ottobre 2013. Ansa/Twitter

Davanti all’archivio, i ragazzi che arrivano dal mare si siedono spesso sulla panchina: c’è il wifi, e Nino direziona lo schermo del televisore verso l’esterno, affinché possano guardare la tv dalla vetrina.

Da quel 2013, Nino Taranto tiene un diario che all’archivio tutti possono consultare: dentro, le foto dei ragazzi passati da qui e i loro messaggi. «Insieme ripercorrevamo le loro storie e il naufragio. Ora sono quasi tutti in Svezia, in Norvegia. Stanno bene, si sono integrati e hanno messo su famiglia».

Enzo Billeci, pescatore di Lampedusa/Video Angela Gennaro

Wifi e fedeli

A Lampedusa gli sbarchi continuano ininterrottamente, a prescindere da media e ong, dagli anni ’90. Con l’escalation della crisi della lotta alle navi umanitarie, bloccate di fronte all’isola senza il permesso di entrare e sbarcare le persone salvate nel Mediterraneo centrale ai sensi del decreto sicurezza bis, il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, ha ricominciato a ripeterlo: «Lotta a loro? Porti chiusi? Abbiamo visto come sono chiusi…. Ma se qui gli sbarchi autonomi di migranti non si sono mai fermati!». Negli ultimi giorni un barchino con 10 persone, poi un altro con 19. «E però, se lo diciamo al telegiornale, veniamo tacciati di chissà che cosa, visto che il messaggio è che Salvini ha bloccato tutto. Ma quando mai».

Il sindaco di Lampedusa e Linosa, Salvatore Totò Martello, a piazza Colonna nei pressi di Palazzo Chigi, Roma, 26 giugno 2019. Ansa/Giuseppe Lami

Certo, i numeri sono scesi: nel 2019, fino a questo momento, le persone arrivate dal mare a Lampedusa «sono state 1200», spiega Alberto Mallardo. A titolo d’esempio, nel 2015 «erano state 22mila». Arrivano qui, vengono portati all’hotspot – che oggi, dopo due incendi negli anni, può ospitare al massimo un centinaio di persone – e poi trasferiti in Sicilia e in Italia, in teoria dopo pochi giorni.

L’hotspot, dall’alto, sembra quasi vuoto. Come sempre, i migranti non possono uscire, ma lo fanno: lo hanno sempre fatto, e lo sanno tutti. Pochi, pochissimi se ne vedono per le strade del paese. A volte vicino alla chiesa, dove anche don Carmelo – già parroco dell’antimafia, nemmeno quarantenne, qui da due anni – mette a disposizione la rete wifi. Pare che alcuni fedeli si siano lamentati: don Carmelo ha rispedito al mittente le preci in questione durante l’omelia.

Lampedusa, specchio del Paese

Paola, che nella vita fa l’albergatrice ma che qui ha anche contribuito a fondare la prima biblioteca dell’isola, non cede alla telecamera. «Ho fatto tante interviste. E no, non voglio più farne. Perché se tu mi intervisti, vuol dire che lo fai perché loro stanno ancora morendo in mare». Anche a Lampedusa, porta d’Europa e simbolo, suo malgrado, di accoglienza a favore dei riflettori, «la polarizzazione del dibattito sulle migrazioni sta esacerbando gli animi, come nel resto d’Italia», dice Mallardo.

«Quando il 29 giugno ero sulla banchina per l’arrivo della Sea Watch e ho visto le urla, gli insulti, la rabbia, ho provato una grande amarezza», racconta l’ex sindaca Giusi Nicolini. «La storia antica ci dimostra che Lampedusa è un ponte tra i continenti: uno povero e l’altro tra i più ricchi al mondo», prosegue. «Ma ora l’odio è riuscito ad avvelenare anche quest’isola».

Urla, insulti, incitazioni alla violenza. Persino un «qui ci scappa il morto»: anche questo ha accolto l’attracco delle polemiche della Sea Watch 3 e soprattutto la sua comandante Carola Rackete. «La distorsione della realtà tramite i social e i media produce tanta di quella rabbia che poi si cede anche agli scontri fisici che, se si continua così, succederanno anche a Lampedusa», dice il sindaco Martello allargando le braccia.

L'allora dell'Integrazione, Cecile Kyenge, a destra, con la sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini sul molo per accogliere i corpi delle 16 vittime recuperati dal peschereccio naufragato il 3 ottobre, 6 ottobre 2013. Ansa/Ettore Ferrari
L’allora ministra dell’Integrazione, Cecile Kyenge, a destra, con la sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini sul molo per accogliere i corpi delle 16 vittime recuperati dal peschereccio naufragato il 3 ottobre, 6 ottobre 2013. Ansa/Ettore Ferrari

Per Paola, la spinta in questi giorni è arrivata dal nord: nelle vesti di una famiglia bergamasca in vacanza, ospite del suo B&B. Papà, mamma e due figlie ventenni. «Una delle sere in cui abbiamo dormito sul prato per chiedere che i naufraghi della Sea Watch 3 venissero sbarcati dopo 14 giorni in mare dopo il salvataggio, la più grande delle figlie mi ha chiesto se poteva venire con noi», racconta l’albergatrice. «Ai genitori, che mi hanno poi chiesto informazioni, ho detto che, se erano d’accordo, sarebbe stata una situazione tranquilla. C’ero io, c’era don Carmelo, e tante altre persone… ‘Macché sicurezza’, mi hanno risposto. Vogliamo solo sapere se possiamo venire anche noi».

Migrazioni e turismo

«Nelle persone si è vissuto da un lato una sempre maggiore spettacolarizzazione e strumentalizzazione del tema migratorio», dice Nino Taranto. «In molti hanno perso fiducia nelle istituzioni. All’isola non è sembrato che ci sia stata alcuna volontà politica nel risolvere problemi di anni», aggiunge Alberto Mallardo. «Maggiore è la strumentalizzazione dei corpi e dei migranti che vengono qui, maggiore può diventare la repulsione nei loro confronti». Gli hanno dato del ‘buonista’, certo. Gli hanno detto «prima gli italiani». «Come chiese protestanti, la nostra missione è ‘prima chi ha bisogno’. Non gli italiani o i migranti, ma chi ha bisogno. Non è erodere i diritti di qualcuno per darli agli altri, ma garantire quei diritti a più persone possibili».

Molti lampedusani temono un danno di immagine portato dall’immigrazione ma soprattutto da questo ruolo dell’isola «simbolo di accoglienza». Hanno paura di ricadute economiche, in un territorio, raccontano, che si è già dovuto reinventare negli anni ’90, quando «sono arrivati nelle acque davanti all’isola i pescherecci tunisini», spiega Enzo Billeci. «Noi pescatori eravamo pochi. Loro tanti, tantissimi. Lo erano ieri e lo sono ancora oggi». Morale: ai tunisini hanno lasciato la pesca dello sgombro, sulla cui economia Lampedusa si fondava. E l’hanno sostituita con la pesca a strascico, che impiega molte meno persone. Tanti si sono dati al turismo. Nel frattempo è arrivato il boom del turismo. «E speriamo che non faccia la fine dello sgombro», sorride Enzo.

Il sindaco Totò Martello individua nel senso di abbandono dalle istituzioni uno dei motivi dell’incattivimento arrivato fino a qui. «Non solo questo governo, ma anche quelli precedenti», dice. Perché l’accoglienza è nel Dna, assicura, «ma forse qualcuno dovrebbe chiedersi se ci sono delle ricadute positive, in termini economici, portate all’isola dall’immigrazione». «Prendiamo l’hotspot, per esempio, o gli sbarchi: nessuna delle realtà che ci lavora, tra servizi e bandi, è lampedusana».

L'isola dei conigli a Lampedusa in un'immagine d'archivio ANSA/LANNINO-NACCARI
L’isola dei conigli a Lampedusa in un’immagine d’archivio. Ansa/Lannino-Naccari

Di parere opposto la sua predecessora, Giusi Nicolini: «In tutti i luoghi di confine si sperimenta la distanza dalle istituzioni. Ma non è vero che Lampedusa è stata dimenticata: ha avuto l’attenzione delle istituzioni, ed è famosa in tutto il mondo. Ha avuto anche vantaggi economici legati al ciclo del soccorso, degli sbarchi e dell’accoglienza. Sono arrivati fondi dello Stato e investimenti privati». I servizi stessi sono migliorati. Un esempio? «Abbiamo aperto l’ambulatorio materno e infantile con ginecologa e pediatra tutti i giorni, perché le donne che sbarcano hanno tutte bisogno del ginecologo. Prima, le donne di Lampedusa avevano il ginecologo solo due volte alla settimana», dice l’ex sindaca.

E il turismo? «Non è mai diminuito, anzi è aumentato». Tranne nel 2011, dice Nicolini. L’anno nero degli sbarchi. «Quando l’allora ministro Roberto Maroni – sempre un leghista, come Salvini – aveva trasformato l’isola in un carcere a cielo aperto… Voleva fare le espulsioni direttamente da qui. Era la sua lotta contro la presunta orda di barbari».

In copertina, la Open Arms in rada di fronte alla Porta di Lampedusa, 8 luglio 2019/Angela Gennaro

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