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Il cardinale filippino David racconta il conclave vissuto dentro la Sistina. Il tempo da ingannare senza telefonino, il disco volante e i nudi di Michelangelo

23 Maggio 2025 - 17:59 Fosca Bincher
Pablo Virgilio Siongco David
Pablo Virgilio Siongco David
Per la prima volta un porporato svela cosa è accaduto nella clausura che ha portato alla elezione di Leone XIV cercando di non infrangere il giuramento fatto. Un articolo singolare su America Magazine, la rivista dei gesuiti Usa

È stata la sua prima volta in un conclave, visto che il vescovo filippino Pablo Virgilio Siongco David, nato a Betis il 2 marzo 1959, è stato fatto cardinale da papa Francesco il 7 dicembre 2024, con l’ultimo gruppo di porporati da lui scelti quando era ancora in vita. Ma è anche la prima volta che un cardinale, dopo essere entrato nel conclave che ha eletto Leone XIV, decide di raccontare l’esperienza che ha vissuto in quei giorni in un articolo a sua firma che è stato pubblicato dalla prestigiosa rivista dei gesuiti americani, America Magazine

Tre giorni passati avendo di fronte solo il Giudizio Universale di Michelangelo

Non ci sono retroscena sulle votazioni, e quindi nessuno scoop sulle trattative che hanno portato ad escludere dal soglio il cardinale Pietro Parolin, puntando invece su Robert Francis Prevost: «poiché sono vincolato dal segreto perpetuo – pena la scomunica – non posso parlare di numeri, personalità o delle dinamiche che hanno portato all’elezione di un nuovo Papa», mette le mani avanti il cardinale David, perfino esagerando perché un cardinale non rischia la scomunica, a differenza di qualsiasi altro sia entrato nella clausura di quei giorni. Quel segreto è dovuto a un giuramento e a una questione di coscienza, ma non ha pene previste per nessuno dei 133 cardinali se infranto. Il neo-porporato filippino racconta comunque l’esperienza fatta in quei giorni avendo a riferimento solo Michelangelo e la sua Sistina.

Le lunghe attese per le procedure di voto e il dramma dei cellulari “confiscati”

Non sono segrete le procedure del voto, e le abbiamo raccontate nel dettaglio anche su Open, ma non avevamo considerato le lunghe attese dei porporati che non potevano ingannare il tempo navigando come di solito sul telefonino, che gli era stato sequestrato prima della clausura. «Immaginate 133 cardinali in abito corale rosso», racconta David, «che all’inizio del conclave prestano giuramento davanti al libro aperto dei Vangeli – non tutti insieme, ma uno alla volta. Ho aspettato pazientemente il mio turno mentre la nostra fila iniziava a spostarsi verso il tavolo posto al centro della navata. Il solo rito del giuramento è durato circa un’ora e mezza. Con i cellulari confiscati, non c’era modo di ammazzare il tempo in modo digitale come molti fanno oggi: niente schermi da scorrere, niente notifiche da controllare. Così, mentre aspettavamo il nostro turno di giuramento, la cosa più naturale da fare era alzare lo sguardo verso l’imponente affresco del Giudizio Universale di Michelangelo, che copre l’intera parete dell’altare».

Davanti ai cardinali solo uomini nudi, mentre la sola vestita è la Madonna

Ed è così che il cardinale a capo della conferenza episcopale filippina, nelle lunghe code in attesa di votare, si è trasformato in un critico d’arte fai-da-te. David è restato colpito soprattutto dalla Madonna, la sola protagonista del Giudizio Universale che Michelangelo ha voluto vestita: «Tutte le figure sono rese nude, tranne mamma Maria», scrive David, «avvolta modestamente in un abito blu, siede accanto a Cristo, ma leggermente ritirata. La sua testa è girata, come se non potesse sopportare di guardare direttamente la scena. È come se anche lei fosse sopraffatta dal dramma che si sta svolgendo. Questa non è una dolce Natività. È il culmine fragoroso del tempo. Michelangelo, già sessantenne quando la dipinse, non ci regala una pia serenità, ma una terrificante verità. Cristo è al centro, non crocifisso ma glorificato. Non più solo salvatore, ma giudice. Il suo braccio è alzato, non per benedire, ma per decretare».

La storia di Minosse e del funzionario vaticano condannato in eterno da Michelangelo

A colpire l’immaginazione del cardinale che stava per riporre nell’urna la sua scheda anche la figura di Minosse, e soprattutto la sua storia. «A sinistra, i dannati precipitano nel caos», nota David, «trascinati dai demoni, contorti dalla paura e dalla vergogna. Nell’angolo in basso, Caronte traghetta i perduti attraverso il fiume Stige, prendendo in prestito dall’Inferno di Dante. E lì, grottesco e con un serpente arrotolato intorno a lui che gli morde l’inguine, c’è Minosse, il giudice infernale. Michelangelo gli diede il volto di un funzionario del Vaticano che una volta criticò la nudità del dipinto. La sua vendetta, resa in affresco, sarebbe durata per sempre. Ma questa non è una nudità destinata a sedurre. È una nudità destinata a rivelare. Ogni strato di illusione viene eliminato. Nessuna veste. Nessun titolo. Nessuna maschera. Solo la verità di ciò che siamo, anima e corpo, quando siamo davanti agli occhi di Dio».

Tutti con la testa in su nell’attesa e ai cardinali è iniziato a venire il torcicollo

David ha alzato la testa per guardare anche il soffitto, dipinto da Michelangelo molti anni prima, sotto papa Giulio II. Ma «dopo un po’ il mio collo ha cominciato a tendersi. Dovevo allungarlo con movimenti circolari, prima in senso orario, poi in senso antiorario, ogni volta che avvertivo l’apparente insorgere di un torcicollo, forse facendo sì che i miei vicini si chiedessero cosa stessi facendo, per poi scoprire che stavano facendo la stessa cosa». Tutti i cardinali senza telefonino guardavano dunque in su. E qualcuno verso il basso: «Sotto i nostri piedi c’è un pavimento di marmo intarsiato. Nessuno ne parla. Eppure, porta le impronte dei secoli, di papi e pellegrini, di santi e peccatori. I disegni sono geometrici, ordinati, immutabili. Le fondamenta di una chiesa che continua a camminare. Quando poi ci siamo avvicinati all’ora del voto, le grate di ferro hanno attirato la mia attenzione: sono il ricordo di un antico rituale che un tempo separava il clero dai laici, il sacro dal profano. Ora sembrano simboleggiare una divisione più profonda: non tra classi di persone, ma tra esitazione e decisione».

Il cardinale filippino Pablo Virgilio Siongco David

L’urna delle schede da cui è stato eletto Prevost sembrava un disco volante

Dopo l’extra omnes e la chiusura a chiave della porta della Sistina, racconta ancora il cardinale David ad America Magazine, «il silenzio cadde come un velo. Erano state fornite persino le penne per votare. E una cartellina rosso scarlatto che poteva essere usata come copertina mentre si scriveva un nome, solo un nome di famiglia preceduto da un numero, come appare nell’elenco dei 133. Ci alzammo e ricominciammo a metterci in fila. Questa volta non per il giuramento, ma per la votazione. Ognuno pose la sua scheda piegata su un piccolo piatto d’argento. Poi l’ha inclinata delicatamente nell’urna, un insolito recipiente metallico che assomiglia a due bacini saldati insieme e che ha la forma di un piccolo disco volante, con una patena metallica circolare che funge da coperchio rovesciato. Si trova in cima all’altare come un silenzioso guardiano del destino. Quale nome deve essere sussurrato in quel momento? Quale desiderio? Quale paura? Ho alzato lo sguardo ancora una volta, un’ultima volta. Le figure nude. I santi che salgono. La mano protesa di Adamo. Lo sguardo ritirato di Maria. Ho sentito il peso del momento. Il fuoco dello Spirito. E poi ho sussurrato la mia. Ho appoggiato delicatamente la scheda sul piatto, l’ho lasciata scivolare nell’urna e ho rimesso la patena sulla sua bocca. E l’ho affidata a Dio».

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