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Un vaccino obbligatorio contro il Covid-19? Intervistiamo tre esperti di comunicazione della scienza

07 Luglio 2020 - 20:44 Juanne Pili
La strada che ci porterà ad un vaccino contro il Coronavirus è segnata da numerosi ostacoli, anche nel comunicarne efficacemente l'importanza

Come avevamo potuto osservare in precedenti articoli, il movimento No-vax, dopo una breve parentesi di silenzio, si è riorganizzato opponendosi a un eventuale vaccino contro il Covid-19, riciclando vecchie fake news e abbracciando ampiamente le suggestioni complottiste sul virus ingegnerizzato.

A seguito di queste campagne di disinformazione, secondo Science negli Stati Uniti solo il 50% degli americani risulterebbe favorevole a vaccinarsi contro il SARS-CoV2. Così, mentre la corsa al vaccino è appena giunta alle fasi di sperimentazione più avanzate, il problema fondamentale resta quello di saperne comunicare l’utilità – quando verificata, al netto di potenziali eventi avversi – visto che i numeri sugli effetti dell’infodemia appaiono preoccupanti:

«Recenti sondaggi hanno rilevato che solo il 50% delle persone negli Stati Uniti è interessato a ricevere un vaccino, con un altro quarto vacillante – spiegano gli autori di Science – Alcune delle comunità più a rischio per il virus sono anche le più diffidenti: tra i neri, che rappresentano quasi un quarto dei decessi statunitensi per il COVID-19, il 40% ha dichiarato che non assumerebbe un vaccino, in un sondaggio di metà maggio dall’Associated Press e dall’Università di Chicago. In Francia, il 26% ha detto che non si vaccinerebbe contro il coronavirus».

La «riluttanza ai vaccini» è un fenomeno già noto e sotto osservazione da parte dell’Oms fin dal gennaio 2019. Così, se da un lato ci si chiede quali dovranno essere i soggetti a cui dare priorità per la somministrazione; dall’altro resta il problema di come comunicare un futuro piano vaccinale, tenuto conto che il 50% di una qualsiasi popolazione non sarebbe sufficiente a garantire l’immunità di comunità.

Abbiamo chiesto un parere a tre medici esperti di comunicazione della Scienza, impegnati in vario modo nel divulgare l’utilità dei vaccini. La giornalista scientifica Roberta Villa, il debunker medico Salvo Di Grazia (MedBunker) e l’infettivologo Stefano Zona dell’associazione di medici e genitori IoVaccino, spiegano a Open quali sono i punti critici della corsa al vaccino e della comunicazione in tempi di pandemia.

Perché imporre il vaccino potrebbe essere controproducente

È fondamentale fin da ora comunicare l’importanza dei piani vaccinali, evitando gli obblighi di legge.

«Quando vengono fatti sondaggi come quelli riportati da Science, molto dipende anche da come sono state fatte le domande», spiega Zona. «Diciamo però che a pelle mi sembra una posizione razionale quella di essere scettici sul vaccino contro il Covid-19, per diversi motivi: deve ancora superare tutte le fasi richieste della sperimentazione, sia per i vaccini che per i farmaci; abbiamo ancora dubbi non tanto sulla sua sicurezza quanto per la sua efficacia; un altro punto di criticità è il fatto che questa malattia sul singolo spaventa poco. Sotto i 50 anni dà molto poco come sintomatologia e rischio di morte, quindi i giovani sarebbero molto poco invogliati».

«Per queste ragioni l’obbligo sarebbe una scelta assolutamente errata – continua l’infettivologo – Un conto è imporre un vaccino perché manca una piccola frazione di popolazione per raggiungere l’immunità di comunità, un altro è imporre per la scuola e il lavoro una vaccinazione di cui ancora non sappiamo nulla, cercando di imporla per una persona su due. Sarebbe un lavoro senza senso, e difficile da far rispettare. Ho sostenuto in passato l’obbligo per alcuni vaccini, ritenendolo indispensabile per il raggiungimento delle coperture vaccinali, ma in questo caso non funzionerebbe. È importante intraprendere una strada di persuasione, facendo capire la situazione di emergenza in cui ci troviamo. L’unico appiglio è l’altruismo, far capire che siamo tutti sulla stessa barca».

Persuadere l’opinione pubblica resta sempre l’opzione preferibile, specialmente se parliamo di un vaccino che non ha ancora visto la luce.

«Parlare di un obbligo non è soltanto prematuro, ma è controproducente oggi e in questi termini – spiega Villa – In Italia c’è stato un sondaggio simile della Sip (Società italiana di pediatria), e un quarto dei genitori intervistati ha affermato che non sa dire se oggi farebbe vaccinare suo figlio, e questo non dovrebbe essere fonte di scandalo. In realtà è una risposta ragionevole, anch’io risponderei “non so”, perché oggi non sappiamo, innanzitutto se il vaccino arriverà; non sappiamo che vaccino arriverà, di quelli in studio ce ne sono molto diversi, alcuni con metodi innovativi che verrano utilizzati per la prima volta negli esseri umani. È inutile nasconderci che prima di essere approvati dovranno essere fatte numerose verifiche, ma tutto questo oggi si sta facendo in maniera piuttosto accelerata».

«Le stesse autorità regolatorie su cui contiamo, sono sottoposte a una pressione enorme – continua la divulgatrice – Se già adesso si stanno producendo vaccini per poi avere delle dosi sufficienti, prima ancora di essere approvati, sarà molto difficile per le autorità regolatorie dire “questo vaccino non lo approviamo”, anche perché non si tratta soltanto di sicurezza. Io sono abbastanza fiduciosa sul fatto che non verrà mai approvato un vaccino che dà segnali di rischio, ma bisogna vedere anche il livello di efficacia. Su quello prenotato dall’Italia per esempio, non abbiamo ancora pubblicato alcuno studio sugli esseri umani. Abbiamo solo una ricerca sui macachi, dove si vede un dimezzamento del numero di complicanze respiratorie gravi, mostrando una certa protezione su sei cavie, quindi il suo valore è abbastanza relativo».

«Se fosse così negli esseri umani e non cambiasse la carica virale e la probabilità di infettarsi, ma riducesse solo le complicazioni, questo vaccino non avrebbe nemmeno delle caratteristiche tali da creare una immunità di gruppo, e quindi davvero un ruolo anche sociale: non ci si vaccina solo per se stessi, ma anche per gli altri. Verrebbe quindi indicato solo a persone da una certa età in su. Ecco perché è fuori luogo oggi parlare addirittura di un obbligo, quando non sappiamo di cosa stiamo parlando. Sarebbe controproducente in quanto indurrebbe una forma di rifiuto».

«Attualmente la diffidenza generale esiste ed è giustificata – continua Di Grazia – Diversamente da altri, come quello antinfluenzale, che già esiste e ha un’efficacia, anche se non elevatissima, e si può fare un bilancio rischi-benefici, decidendo anche in base alla propria categoria di rischio se è il caso di vaccinarsi o meno. Vale anche per il discorso sul Coronavirus. Io per esempio sono un medico, mi vaccino sempre contro l’influenza e probabilmente lo farò anche per il Covid-19. Parlare oggi di obbligo per una cosa che non esiste non ha molto senso».

La strada verso un vaccino e le sue incognite

Non è facile comunicare i lavori in corso nella ricerca di un vaccino come questo, specialmente se le stesse aziende farmaceutiche sono restie a far trapelare informazioni approfondite, al netto dei comunicati stampa.

«Questa è un’altra criticità – spiega Zona – perché sui vaccini più avanti nelle fasi sperimentali si è anche pubblicato poco: Moderna, Oxford e CanSino sono quelli che hanno divulgato meno in assoluto l’andamento delle loro sperimentazioni. È un percorso sdrucciolevole; non c’è tanta trasparenza da parte dei produttori. Abbiamo solo le dichiarazioni ufficiali degli amministratori, dove si auto-incensano, ma dati alla mano ce ne sono pochi».

Rimangono anche diverse incognite. Per esempio non sappiamo quanto dura l’immunità, né è tanto chiaro cosa si intende con questo termine, visto che non è solo questione di anticorpi.

«Sta emergendo per esempio che in alcune persone probabilmente sia importante anche una immunità di tipo cellulare – continua Villa – legata quindi non soltanto alla produzione degli anticorpi, ma anche a come le cellule possono combattere il virus. Sono tutti aspetti che stiamo ancora studiando. È plausibile che alcune persone che sembrano negative ai test sierologici in realtà siano protette attraverso una immunità di tipo cellulare. Discutere di tutto questo sarebbe comunque poco saggio adesso, occorre aspettare di vedere cosa ci dice la Scienza».

Si è parlato anche della possibilità di proteggersi contro il Covid-19 predisponendo meglio l’Organismo attraverso i vaccini antinfluenzali, oppure – più plausibilmente – riducendo il carico degli ambulatori e ottimizzando i controlli.

«Questa idea è stata portata avanti da diversi esperti, non per via di una protezione diretta contro il SARS-CoV2 – continua Di Grazia – quanto per il fatto che alcuni sintomi sono simili, quindi vaccinare contro l’influenza potrebbe essere “un trucco”, per saper distinguere in tempo in ambulatorio se una persona ha un principio di influenza o di Covid-19. Si evitano così degli errori, perché se viene ricoverata una persona con febbre alta e sintomi respiratori, si potrebbe pensare che abbia il Coronavirus, facendo partire una serie di controlli e protocolli che magari per l’influenza non si attuerebbero».

«Come tattica potrebbe anche essere giusta, però ci sarebbe da verificare e ragionare per bene, perché anche per l’influenza parliamo di un vaccino non del tutto efficace, funziona più o meno nel 60/70% dei casi e negli anziani anche di meno; essendo proprio questa categoria di persone la più colpita, non è detto che abbia senso vaccinarli tutti contro l’influenza per questo motivo. È una strategia sulla quale sono scettico, ma si tratta comunque di una opinione personale: non essendo un epidemiologo, qui mi fermo».

Il problema parallelo dell’infodemia

Da sempre i limiti della Scienza possono essere usati dai guru complottisti per produrre campagne di disinformazione ai danni dell’opinione pubblica. L’Oms a questo proposito aveva denunciato l’anno scorso il problema della «riluttanza ai vaccini» e quest’anno si aggiunge quello della «infodemia».

«Si dice che dove c’è lo zucchero abbondano le mosche – spiega Di Grazia – Così, dove c’è confusione il ciarlatano/complottista/venditore di fumo va a nozze. Per lui è un banchetto, perché questa malattia, nuova e poco conosciuta, mostra le varie incertezze della Scienza, come abbiamo visto. Il ciarlatano invece parte con le sue sicurezze e ti dice che “si cura con la vitamina D”, o “l’acqua calda”».

«Ovviamente quando avremo il vaccino contro il Covid-19 ci saranno decine di complottisti e NoVax che si fionderanno a dire che fa male – continua il debunker – Dovremmo prepararci già ora a questo genere di disinformazione. Queste persone per sentirsi ascoltate devono spararle grosse: per esempio, se risultasse che il vaccino causa qualche effetto collaterale a una persona su mille [come per tutti i farmaci] per loro significherebbe che uccide di sicuro». 

A complicare le cose ci sono anche i comprensibili dubbi dei ricercatori, spesso mostrati in polemica tra loro, producendo affermazioni discutibili e titoli sensazionalisti.

«Ultimamente questo tipo di comunicazione ha creato tanta confusione – conferma Di Grazia – vanno considerati vari fattori: da un lato alcuni media hanno dovuto fare a tutti i costi il titolo o il programma drammatico per attirare visualizzazioni, quindi come sempre vediamo in gioco la tendenza a fare spettacolo; dall’altro lato, diversi esperti purtroppo non sono abituati a parlare a un vasto pubblico, così magari dicono cose correttissime, ma in un modo fraintendibile». 

«È normale per esempio, parlare nei congressi sulla possibilità che un virus sia pericoloso – continua il debunker – tra esperti che capiscono perfettamente i termini tecnici usati dai colleghi. Ma dare in pasto all’opinione pubblica termini complicati (R0, tasso di contagiosità, eccetera), porta le persone a fraintendere, non perché il pubblico è stupido, ma per il fatto che in questo campo i più non sono competenti. Spesso mi capita leggendo un titolo, di andare a cercare lo studio a cui si riferisce, e per capirlo possono passare dei giorni, per studiare bene i termini, o consulto degli esperti per farmeli spiegare; invece nei media vediamo un esperto che con una intervista di qualche riga cerca di spiegare questi concetti immediatamente». 

«Da qui nascono le frasi ambigue, eccessive, e (cosa che non mi è piaciuta in assoluto) le “previsioni”. Noi abbiamo ovviamente delle idee di quel che potrà succedere, ma non possiamo esserne sicuri. Dire che “a giugno il virus causerà tot morti” o “tornerà a novembre” è sbagliato, perché semplicemente non lo sappiamo».

È il classico esempio delle proiezioni (andrà così se tutte le variabili non cambiano) scambiate per previsioni (andrà così perché conosciamo le variabili), e a questo si aggiungono le eccessive semplificazioni con cui si intende come “studio” qualsiasi documento di carattere scientifico, cosa che ci fa perdere il contesto di una informazione.

«Prendiamo per esempio i case report [rapporti di casi clinici] o i preprint [estratti di ricerche scientifiche ancora da sottoporre a revisione]: se in un articolo se ne parla come “studi”, di fatto si sta dicendo una bugia. Ma anche se si prende una ricerca dove un farmaco viene testato solo su 11 persone, sostenere che funziona solo perché “lo dice uno studio” è disinformazione. Per qualsiasi altra malattia probabilmente lavori del genere non verrebbero nemmeno citati, mentre per il Covid-19 lo abbiamo fatto. Così, dover riportate tutti i giorni le informazioni degli esperti fa sì che prima o poi si dicano anche cose sbagliate».

Open.online is working with the CoronaVirusFacts/DatosCoronaVirus Alliance, a coalition of more than 100 fact-checkers who are fighting misinformation related to the COVID-19 pandemic. Learn more about the alliance here (in English).

Foto di copertina: Vincenzo Monaco | Stefano Zona, Roberta Villa e Salvo Di Grazia.

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